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STATUA DELLA LIBERTÀ, STORIA E CURIOSITÀ

by 9:28 AM




Qual è la prima cosa che viene in mente quando pensate a New York?
La mia è la Statua della Libertà.

Sarò scontata, o poco imprevedibile, ma per me è sempre stata un simbolo solenne. Uno dei monumenti più importanti che esistano al mondo, non tanto per la sua imponenza, ma per quello che sta a significare: libertà.
Si trova al centro della baia di Manhattan su Liberty Island. Il nome originale della statua sarebbe La Libertà che illumina il mondo, e in effetti il suo scopo era di illuminare ed accogliere gli immigrati che con le navi raggiungevano il porto di New York.
Penso sempre all'emozione che provavano quegli occhi sul ponte della nave, quando intravvedevano le prime luci e passavano di fianco a lei, al simbolo della loro libertà in un nuovo paese, nella loro nuova vita, volti pieni di paura e speranza. 
A me vengono i brividi, mi commuovo di fronte a questo pezzo di storia.
È una delle cose da non perdere a New York e anche il portale magazine di Expedia Explore la inserisce tra le 20 cose che vale assolutamente la pena di visitare durante un viaggio nella Grande Mela.






La sua storia è affascinante, mi ha sempre incuriosito, e quando finalmente qualche anno fa ho avuto il piacere di poterla visitare, ho esaudito un desiderio che avevo custodito nel mio cassetto.

La storia

Tutto è cominciato nella seconda metà del 1800 quando un certo Sig. Laboulaye, un professore di diritto che in Francia si batteva per l'accesso allo studio e sosteneva con passione le ragioni dell'unione nella Guerra di Secessione Americana. Ha pensato quindi che fosse necessario fare un regalo, un monumento che rendesse concreta l'idea di fratellanza tra la Francia e l'America, un monumento che fosse paladino della giustizia e della libertà. Ad ascoltare quelle parole tra la folla durante il discorso c'era uno scultore di nome Berthald che in pochi istanti immaginò nella sua mente quella che sarebbe diventata la Statua della Libertà, posizionata all'imboccatura del porto di New York, con lo sguardo rivolto al mare, come l'antico colosso di Rodi. Non fu da solo, perché nella costruzione della statua fu coinvolto anche l'ingegnere Eiffel, esattamente quello della famose torre a Parigi che ideò la struttura portante, cioè lo scheletro della grande scultura.

Arte e tecnologia dovevano convivere assieme: la statua doveva essere vuota all'interno, con un'unica anima di reticolati in acciaio, mentre l'esterno doveva essere fatto con tanti fogli di rame sbalzati e uniti da dei rivetti. La base sulla quale doveva essere appoggiata era in granito rosa proveniente dal Connecticut.

Ovviamente costruire una statua di tali dimensioni aveva un costo non indifferente, quindi si studiarono delle strategie per poter avere dei finanziamenti di avanzamento lavori, come per esempio quella di esporre la testa della statua nella sua totale maestosità ai giardini del Palais du Trocadero dove i visitatori entusiasti cominciarono a dare dei soldi per diventare parte del progetto.
Lo stesso vale per il basamento, mancavano i fondi per terminarlo, così il New York Times lanciò una sottoscrizione pubblica alla quale risposero prontamente in molti. Furono i Newyorkesi con il loro denaro a rendere possibile la costruzione del piedistallo che l'avrebbe sorretta. 

Fu regalata dai Francesi agli Stati uniti nel 1883 in casse trasportate a New York a bordo di una piccola nave, furono quindi necessari più viaggi.
Infine furono assemblatati i 300 pezzi che la compongono come un puzzle ad incastro, un pezzo alla volta.
Nel 1886 viene inaugurata nella sua splendida bellezza in 93 m di altezza per 156 tonnellate.




Qualche dettaglio e curiosità

La Statua è una figura femminile avvolta da una lunga toga. 
Ai suoi piedi, che sbucano appena fuori dalla veste ci sono delle catene spezzate in segno di libertà.
La corona che tiene in testa ha sette punte come i sette mari e i sette continenti.
Il braccio destro è spoglio dalla veste e tiene una fiaccola accesa che testimonia la libertà e la giustizia (e che fungeva da faro), quello sinistro invece è piegato verso il corpo e sostiene una tavola sulla quale si legge 4 luglio 1776, la data della dichiarazione di indipendenza.
In origine era color rame che nel giro di vent'anni si è ossidato diventando l'attuale verde.

Gli studi ingegneristici di Eiffel furono fondamentali, infatti la statua deve avere la possibilità di compiere delle oscillazioni per resistere al vento e non spezzarsi anche in caso di dilatazione del metallo durante i cambiamenti di temperatura.

Una scala principale sale dal basamento alla corona e una molto più piccola consente la salita fino alla fiaccola.

Sul piedistallo è incisa una citazione intitolata The New Colossus composta dalla poetessa statunitense Emma Lazarus, che è un inno alla libertà, scritto dopo che lei stessa fece visita ai quartieri di quarantena degli immigrati nel porto:

"Tenetevi o antiche terre, la vostra vana pompa- grida essa con le silenti labbra- Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi, i rifiuti miserabili delle vostre coste affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dlle tempeste e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata."



Visibile da una distanza di 40 km rappresenta ancora oggi un simbolo di speranza.
È visitabile giornalmente, malgrado ci siano stati in passato chiusure per motivi di sicurezza, non solo per allarmi terroristici, ma anche per situazioni atmosferiche, tipo uragani.

Ogni anno viene visitata da circa 4 milioni di persone.


Articolo in collaborazione con Expedia 


NEW YORK AD UN METRO DA TERRA

by 11:16 AM




New York, New York.

Che città, che stile di vita, che viaggio!
Ma un bambino che ci va a fare a New York?
Una domanda così non la vorrei mai sentir dire, ma purtroppo, a volte, capita.
Un bambino viaggia con la fantasia, figuriamoci in una grande metropoli fatta di luci, di palazzi e di un parco che racchiude un mondo di favole e leggende.
E' il bambino che porta per mano l'adulto e passo dopo passo gli fa scoprire una città con occhi nuovi, con consapevolezze nuove.
Non il contrario.

La corsa per vedere più cose nel minor tempo possibile a volte si ferma.
Si ferma per lasciare spazio a nuove visioni, nuove avventure, vissute con la calma e la frenesia che solo un bambino può avere.

Un viaggio è fatto anche di questo: assaporare un luogo attraverso occhi che scrutano ad un metro da terra.
Solo questo cambia.
I luoghi sono gli stessi,
la città è la stessa,
il cibo è lo stesso.
Si cammina ugualmente, 
si sorride, 
si gioca e si riparte nuovamente alla scoperta di qualcosa che animerà la fantasia dei bambini e arricchirà la nostra.

Non voglio fare un elenco di cose che può fare un bambino in città, un bambino può fare molte cose.

Cercherò invece di descrivere l'emozione che ha provato il mio piccolo viaggiatore nei luoghi che ha visitato, per quello che ha visto.
E quella che ho provato io mentre lui imparava a conoscere un mondo nuovo e
una nuova avventura.

I bambini hanno uno spirito di adattamento che noi adulti ce lo scordiamo.
Si entusiasmano per qualsiasi cosa, ed un loro sorriso vale tutto un viaggio.

Siamo stati a New York nel periodo Natalizio, e potete solo immaginare quale livello di addobbi, magia e stupore ci possa essere in quel periodo.
Le strade sono fatte di luci intermittenti e nelle vetrine ti puoi specchiare assieme a Babbo Natale.
Ma il Natale è solo un contorno luminoso ad una città che ha molto (anche se molto è un eufemismo) da offrire.

"Mamma si è avverato un sogno: ho visto la Statua della Libertà."
Anch'io sono rimasta alquanto basita dopo questa affermazione fatta da un bambino di sei anni.
Ma non potevo che esserne felice.
Da anni sfoglia, e da poco legge, un libro su NY.
Si chiama Lisa va a New York e parla di una bambina che va a trovare sua zia in America assieme al suo odoroso peluche Oliver.
Ecco, il suo sogno della Statua, simbolo della città, è nato e cresciuto tra quelle pagine.
Un libro fa crescere e desiderare.
Un viaggio completa il desiderio.

"Mamma, l'ascensore sembrava un missile!!"
Per salire sul Top of the Rock l'ascensore, ben stipato di persone, si fa 67 piani in circa 50 secondi, illuminandosi di colori fluo per tutta la durata della salita.
Io con gli occhi chiusi claustrofobici e lui a bocca aperta col naso all'insù.
Lo spettacolo dal grattatelo sulla città mi rammenta i brividi, e non solo quelli di freddo, ma i brividi emozionali, quelli che per un momento ti bloccano il respiro e quando te ne accorgi prendi una boccata d'aria che ha un sapore nuovo, quello della scoperta.
Il tramonto, l'ora perfetta, la mia ora.
Un tramonto che ha dipinto la grande mela di un tenue arancio mentre le lucine tutte attorno formavano dei puntini, e a volerli unire quasi si formava un disegno.
Lui non voleva più scendere.
Io nemmeno.




"Mamma, sono degli scarabocchi..."
In effetti i quadri di Pollock esposti al MOMA si avvicinano molto all'idea di casualità, e si avvicinano molto ai disegni avveniristici che mio figlio, in preda a momenti di creatività, compone nel terrazzo di casa .
Ma non si è scostato.
E' rimasto lì davanti il giusto tempo per capire a modo suo,
per interpretare l'opera in chiave fantasiosa,
per metterci qui un cavallo, lì una slitta, e più su un libro con le pagine che volano.
Che si parli di arte classica, moderna o quella non ben definita non importa, portare un bambino ad un museo o ad una mostra apre la mente.
Impara che un disegno ha delle interpretazioni soggettive, ma che ha pure una storia alle spalle.
Impara che il colore è il protagonista e che in base a come viene usato, crea un quadro unico al mondo.

"Ma quanto è lungo il ponte di Brooklyn? Ma lo dobbiamo fare a piedi?"
"E' lungo come da casa nostra a casa dalla nonna, e vedrai che ti piacerà attraversarlo."
Da Brooklyn a Manhattan un ponte sospeso, per me un'emozione pura, per il piccolo una missione da compiere.
Immenso, con quei tiranti grossi come un braccio e i bulloni grandi come una mela, ha studiato l'opera neanche fosse un ingegnere, mentre a destra gli sfrecciavano accanto bici di fretta e a sinistra podisti che provavano le nuove scarpe da corsa. 
In mezzo l'East River che leggero scorre verso il mare.




Un mondo da scoprire che non si ferma.
I taxi gialli, le insegne luminose a Times Square che proiettano un Hobbit in dimensioni troppo grandi, i negozi di caramelle che profumano di zucchero e quelli di giocattoli con la ruota panoramica dentro.
Scoprire che da Starbucks il latte col cioccolato è super buono, e che mangiare Hot Dogs con una quantità esagerata di ketchup sopra è fico.
I camion dei pompieri, la polizia in bicicletta per Central Park, gli scoiattoli curiosi e le corse a perdifiato.
La metropolitana e il mondo sotterraneo, i personaggi che lo abitano, come i topolini impauriti dalle urla di una madre paurosa.
Il mare ventoso in una Coney Island surreale, i Babbi Natale (ma perchè sono così tanti?) che si tuffano in acque gelate in costume.
Incontrare una ricostruzione di Lucy nel Museo di Storia Naturale e comprarsi un paio di Converse a Soho.
E poi New York ha tantissimi parchi gioco dove fare piacevoli pause, ma l'esperta in questione è Playground around the corner!



Una centrifuga di stimoli, di cose viste, di parole sentite, alternati al riposo in una stanza che trema al passaggio della metropolitana, tra le risatine soffocate da una manina che ha toccato molte cose, che si è aggrappata a molte altre, che ha tenuto la mia mano stretta per farsi sentire.
Per ringraziarmi, in qualche modo.

















CONEY ISLAND

by 8:47 AM



Da Brooklyn a Coney Island corre un tempo non ben definito sulle rotaie della metropolitana.
Non è solo il tempo materiale che serve a raggiungerla, ma è la sensazione che si passi in un'altra dimensione temporale, distante dalla grande città.
I vagoni mezzi vuoti escono dal ventre della terra per riaffiorare alla luce in sobborghi di una New York senza belletti, ma forse più vera, nella sua profonda natura.
Muri variopinti, messaggi osceni, colori stinti.
Case diroccate si alternato a simil villette con mattoncini a faccia vista, un fazzoletto di giardino e per i più fortunati una piccola piscina dove tuffarsi nelle afose domeniche pomeriggio.
Sembra una scena da film, ma non lo è.
E' il tempo che scorre, il paesaggio in movimento che si riflette sui vetri sporcati dal tempo e dal sole.

Ed ecco il quartiere russo e poi, lì in fondo, un luccichio: il mare.
Anche a New York c'è il mare, c'è la spiaggia, sembra impossibile a crederlo.

E' il primo gennaio, la temperatura si aggira attorno agli zero gradi, ma il sole dà una parvenza di calore.
Una parvenza.
La metropolitana rallenta, frena, si ferma.
Oltre a questa fermata c'è il mare, oltre non si va da nessuna parte.
Mi piace l'idea di essere alla fine di qualcosa.
Ma trovo desolazione, una strada da attraversare e qualche turista qua e là in cerca di qualcosa, o solo pensoso, o solo incapace di comprendere che anche questa è la grande mela.
Mi incammino verso l'oceano con un vento che comincia a sollevarsi.
Mi guardo attorno e vedo un parco giochi, e sorrido.
Non è un parco giochi qualsiasi è IL parco giochi di Coney Island, quello famoso tanto decantato nei libri quanto nei film.
In "cose da salvare in caso di incendio" libro che ho amato, Vaclav figlio di immigrati Russi, di dieci anni, ha un sogno, diventare un grande mago e portare il suo spettacolo a Coney Island... e io da grande sognatrice non potevo non essere parte di quel libro anche per poche ore, per percepire la magia che si nasconde in quel luogo.
Peccato che d'inverno le attrazioni siano spente, chiuse, direi quasi abbandonate, e che la magia che volevo tanto respirare si è spenta assieme all'entusiasmo.
Ma qualcosa di surreale, perché è questa l'impressione che ho avuto, aleggia nell'aria per essere catturata, da me in visita, da me curiosa, per darsi un'altra possibilità.
Sembra tutto lasciato al caso, ma un'anima quel posto la conserva.
Una ruota panoramica.
Le montagne russe.
Giostre che in tempi migliori hanno vissuto di gloria e luci intermittenti.
E intanto rimangono lì in attesa ad un passo dal mare che in questo inverno gelido romba schiumando a riva.
E il vento incessante spettina, porta via qualsiasi cosa leggera si trovi nella sua traiettoria.
A tratti è insopportabile.
Taglia, sferza.
Il lungomare comincia ad affollarsi. Gente strana avanza in vestiti stravaganti con in mano bicchieri che fumano.
Cappelli colorati, gente in accappatoio, qualche Babbo Natale che non è ritornato al Polo Nord.
Vanno verso la spiaggia dove transenne creano un percorso verso il mare.
Mi volto e il mio sguardo scorge una signora che si spoglia e rimane in costume.
Si sta facendo fotografare mentre è in posa accanto ad una palma di plastica.
Questi sono pazzi, penso.
Questi stanno mezzi nudi in mezzo ad una tormenta di vento a meno tre gradi sulla spiaggia di Coney Island...
Wow, il mondo continua a sorprendermi.

Mi allontano, il freddo è troppo per me, lascio questi temerari a prepararsi per un tuffo in mare, un rito propiziatorio per il nuovo anno.
Sorrido e penso che non è una brutta idea, se non fosse per le temperature.
Mi faccio largo tra la folla che ormai si è presa un posto in prima fila per lo spettacolo, ancora strani personaggi mi si presentano davanti, attori non protagonisti, comparse, gente comune, chissà chi altro.
Il biglietto è gratis.

Non mi resta che ripiegare da Nathan's dove sembra sia nato l' hot dog e dove si dice sia speciale.
In effetti è il più buono mai mangiato, ma assaggio anche il panino all'aragosta e quello al granchio.
Sì, ho fame.
Il locale è spartano, non brilla di pulizia, ma data la mole di persone che ci entrano non credo sia facile tenerlo lindo.
Il bagno è esterno e senza riscaldamento, diciamo un po' wild.

Mi è piaciuta Coney Island?
Direi proprio di sì, ci ho dedicato un post, ma la prossima volta ci torno quando il luna park è in funzione...














NEW YORK TUTTA IN UN FIATO

by 12:18 PM


Prendo il respiro e parto.
Inspiro profondamente per visitare, vedere, conoscere una città che crea delle aspettative.
New York.
Wow.
Ho ancora una grande entropia in testa di immagini, persone e cose viste che fatico a selezionare per raccontare.
Ma la voglia di farlo è così grande che mi sono messa a scrivere...
E scrivo quello che la mente ha immagazzinato, e che ora rilascio velocemente.

New York è un centrifugato di tutto ciò che una città può dare, e ti scoppia in faccia come una bomba, ti scaraventa in angoli opposti per farti assorbire quanto di meglio e di peggio sa darti.
Sono passata da un quartiere all'altro con una facilità e una velocità senza tempo sotto strade trafficate che pullulano di turisti assetati di vedere.
Ho camminato lungo marciapiedi che sono casa per qualche  senzatetto, che sono incontro per coppie innamorate, che sono musica per chi suona e balla aspettando che qualche cent finisca nel loro bicchiere di cartone dello Starbucks.

Perchè New York è un film.
E' un film già visto tante di quelle volte che la prima volta che la vedi, la conosci già.
E' la serie Tv che ti ha incollato tante sere davanti ad uno schermo sbavando davanti allo skyline della sigla iniziale.
Ed ad un tratto mi ci sono trovata dentro a camminare a testa in su incredula tra le mille luci ad intermittenza che mi hanno confusa, tra gli odori e i profumi di un popolo in continuo cambiamento, tra quartieri che sono la vera città, svuotati dai turisti ma pieni di voci colorate e sorridenti.
E' bella da far paura.
E paura ne ha fatta, tra l'ombra delle torri fantasma che sai esserci state, e che hanno lasciato un vuoto incolmabile, che continuano a vivere nella mente quasi fossero le scene di un film.
Ma un film non è stato.
La realtà ha preso il sopravvento sulla finzione; i nomi incisi sulle fontane costruite sul luogo in memoria della catastrofe sono veri...come il nodo in gola che sentivo mentre li leggevo.

Una città sotto controllo, che lascia trapelare un po’ di tensione.
Perché gli elicotteri che girano sopra la statua della libertà non sono solo quelli turistici.
Perché ogni possibile bersaglio deve essere protetto.
Se mi fermo a pensare ho i brividi.
Quello che è successo, ha sensibilizzato gli animi e i cuori, facendo probabilmente apprezzare tutto con occhi diversi, con un cuore colmo di gioia, per ogni cosa vista.

E il mio cuore pieno di gioia lo era.
Emozione pura quando ho messo piede sopra il ponte di Brooklyn e l'ho attraversato girando su me stessa un numero illimitato di volte per riuscire a scorgere ogni angolo, ogni spettacolo che il paesaggio in quel momento voleva offrirmi.

C'è la NY perfetta a Manhattan, pulita, profumata quasi finta, dove l'unico polmone della città sembra essere il parco più bello del mondo. Dove i parchi giochi recintati sono un chiaro invito per i bambini, mentre le mamme nei loro vestiti migliori chiacchierano, rispondono al telefono, sorridono, cittadine di un luogo lontano anni luce dalla mia piccola realtà italiana.
C'è poi la NY “imperfetta”, con i marciapiedi sporchi, i grattacieli più bassi di qualche decina di metri. La NY dei murales a Brooklyn, o la NY del mare a Coney Island, la NY degli artisti a DUMBO....una città vera.

L'ho amata per il forte impatto che ha avuto su di me.
E' una città estremamente difficile, caotica.
In alcuni casi incomprensibile. Eh sì, sembra che alcune persone siano fatte con lo stampino e che non riescano ad uscire dalla loro linea guida.
Sto parlando di sciocchezze forse, ma se chiedi un piatto senza la salsa BBQ e per due volte di fila te lo portano con la salsa BBQ sopra, qualcosa non funziona; se chiedi in un locale dove non fanno panini, ma hanno il pane e quello che serve per imbottirlo, di farne uno e mi vanno in panico...beh qui c'è da pensare no?

Cara New York ho ancora molto da raccontare di te…
Mi sei piaciuta fino all'anima con le tue mille contraddizioni...


UNDERGROUND

by 2:53 PM





Non un grattacielo, 
non un cielo azzurro o intriso di pioggia sopra la mia testa.

Il mio primo incontro con New York è stata la metropolitana.

Una città, un mondo sotto ad un altro mondo,
una vita, un via vai continuo
distaccato, ma unito alla superficie.

Una dimensione non nuova, ma diversa da quelle viste finora.
Mi è piaciuta.
Mi sentivo bene, non ho avvertito nessun rischio.
Osservavo, creavo nella mia fantasiosa mente le vite di quelle persone che viaggiavano.

Perché era un viaggio, non solo uno spostamento.




C'è la ragazza che seduta nel posto centrale sonnecchia, ed ad ogni scuotimento riapre gli occhi per poi assopirsi nuovamente. Ascolta in silenzio qualcosa, probabilmente della musica.
Le cuffiette sono nascoste dai neri capelli che le scendono dritti sulle spalle.
Le mani infreddolite, rosse tengono in mano un telefono.
Le unghie lunghe e laccate.

C'è un bambino che non smette di fissarmi.
Gli sorrido e lui si nasconde tra le pieghe stropicciate della giacca di sua madre.
Poi ricomincia,
per lui è un gioco.
Per me una scoperta.

In piedi appoggiato al palo c'è un ragazzo.
Alto, biondo capelli corti, barba di due giorni.
Ha uno zainetto che non toglie dalle spalle.
In mano un quaderno, una specie di taccuino sul quale disegna con una penna nera.
E' intento, lo sguardo fisso, niente lo distrae.
La mano veloce disegna piccoli tratti.
Non saprò mai cosa ci sia riprodotto in quel foglio...

C'è un signore, 
un senza tetto, con la sua casa appresso.
Delle grosse borse che contengono la sua vita.
Nei suoi occhi la solitudine, nei suoi capelli il sole, il vento, la pioggia.

Qualcuno sale, appoggia lo stereo per terra e la musica fa alzare tutti gli sguardi.
Quel qualcuno si mette a ballare, fa strane acrobazie in un metro quadro.
Gli spettatori, quasi tutti,
lo ignorano.
Io seguo i suoi movimenti, lo ascolto.
A volte si possono ascoltare le persone, senza bisogno di un dialogo.

Qualcun'altro canta, e canta bene.
Accompagnato da una chitarra o da uno strumento di fortuna canta.
Solleva gli animi.
Non chiede niente
sei libero di scegliere.
Poi scende e se ne va...

Ci sono odori profumi, umori.
C'è silenzio e brusio di sottofondo.
C'è la fretta e l'attesa.
Ci sono pensieri che fluttuano nell'aria.

C'è la ragazza che sale con in mano il bicchiere di starbucks,
ha i cappelli ricci, e la pelle d'ebano.
E' bella, mi ricorda la ragazza di un video dei Green day,
anzi per me è lei.
Sorseggia a tratti il liquido caldo in questa gelida sera Newyorkese.
E' stanca, a quest'ora lo siamo un po' tutti.
Abbiamo una storia da raccontare che attraversa il nostro sguardo.
Una storia vera.

Poi capita che il treno salga in superficie.
E io imbambolata alzo lo sguardo e lo faccio perdere all'infinito, tra l'acqua e quei palazzi che si
arrampicano sul cielo.
Il ponte eccolo.
Brooklyn.







BUON NATALE

by 2:25 PM


Sono atterrata ieri negli Stati Uniti con una nebbia che neanche in Val Padana.
Sono atterrata a Philadelphia, e nemmeno quando il carrello ha toccato terra ho visto l'aeroporto.
Ma la nebbia non contava ... pur stanca dopo ore e ore di volo, 5 film e turbolenze che mi hanno irrigidita ero felice!
Felice perché il viaggio era cominciato, e nessun agente atmosferico avrebbe potuto rovinare l'entusiasmo che c'era, e c'è in me!
Vi sto scrivendo dall'appartamento di Brooklyn nel quale rimarrò per dieci giorni, e mentre i miei compagni organizzano la giornata io vi scrivo con il sorriso sulle labbra, mentre la pioggia batte sul lucernario, e il palazzo trema ad ogni passaggio della metropolitana.
Mi piace, mi piace un sacco.
Mi piace anche l'indecisione sul da farsi perchè ci sono talmente tante cose da fare, vedere, pensare che l'entusiasmo sale alle stelle!

Questo post un po' per augurarvi un felice Natale, e un po' per dirvi che le cose che ci fanno star bene devono essere fatte.
Per dirvi che se la pioggia cade incessantemente sul vostro viaggio, pazienza, arrabbiarsi non cambierà di certo il meteo.
Nei viaggi come nella vita.

E' stato un anno difficile, molto difficile, con molti cambiamenti.
Ma la vita ci mette davanti delle prove per vedere come siamo in grado di superarle.
Non so se le ho superate bene, ma le ho superate nel miglior modo possibile, ignorando l'ignoranza che pullula in giro, e abbracciando persone che sono speciali e donano calore, anche se le si possono vedere raramente.
Perché una telefonata vale e
un messaggio vuol dire che ci si ricorda.

Perché se la gente si diverte a parlare e sparlare seminando quanto di più brutto hanno dentro, è un problema loro...un problema della loro triste vita.

Quindi sorridete alla vita, a quello che di bello ci dona.


Alla possibilità di un viaggio,
al calore delle persone che abbiamo accanto,
ad un tè preso assieme chiacchierando di cose futili che ci piacciono un sacco.
A macinare progetti, magari irrealizzabili, ma vuoi mettere l'entusiasmo?

Se il vostro lavoro non vi piace, cambiatelo, reinventatelo.
A volte possediamo delle capacità che rimangono nascoste fino a quando non ti si presenta davanti l'occasione.
Ma l'occasione a volte è meglio cercarsela!

Ragazzi, non vi tedio più, ma ci sentiamo presto.

New York mi aspetta, e io sono curiosa da non stare più nella pelle!
Vi abbraccio fortissimamente, tutti quanti che mi leggete, commentate, mandate mail.
Grazie che ci siete.

Merry Christmas...la mia giornata inizia ora!






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