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#INNESTASTORIE E LA MIA STORIA RACCONTATA A VINITALY

by 5:32 PM






Domenica al Vinitaly è stato presentato InnestaStorie, il progetto (eno)letterario dei giovani viticoltori veneti.
Lo scopo era quello di raccontare il ricambio generazionale in viticultura.
E tra i racconti presentati c'era anche il mio.
Grazie al Consorzio Vini Colli Euganei  che ha lanciato "Fiori d'arancio in cerca d'autore" ho potuto raccontare qualcosa di me.

Di solito su questo blog scrivo solo di viaggi, ma come ben sappiamo, tutti abbiamo delle storie da raccontare, e quella che ho scritto per InnestaStorie è vera, e parla della mia infanzia, di vino e del duro lavoro che ci sta dietro a quel grappolo, per farlo diventare un nettare unico.
Parla di mio padre, che ho amato ed amerò per sempre, perché mi ha insegnato molte cose...avrei voluto me ne insegnasse molte altre, ma il destino a volte non chiede il permesso.
Anche questa storia, a modo suo, è un viaggio....




Ricordi di bambina.

In effetti ero una bambina. Avevo i capelli i ricci, le guance rosse e degli occhiali tondi, come quelli di Harry Potter, anche se il maghetto sarebbe stato pensato solo molti anni più tardi.

Vivevo in città, ma in realtà era campagna. Ero ai margini della zona abitata, con campi coltivati attorno e animali nella stalla.

Di questo mi vergognavo perché mi chiamavano la campagnola.

Ora invece ne vado fiera, perché ho vissuto la mia infanzia tra le fasi lunari della semina e dei raccolti, con in mano conigli appena nati, e ho visto nascere pulcini in una magia che ancora oggi non riesco a spiegarmi.

Ma un’altra delle magie a cui prendevo parte era il percorso che quel frutto pieno di chicchi dorati faceva per diventare un nettare divino.

Il frutto che nasceva dalla terra e che cresceva mese dopo mese, esposto alle intemperie, al sole, alla pioggia, alla grandine che tutti temevano.

E nonostante tutto continuava a crescere noncurante di quello che poteva capitargli, con una voglia di vivere dentro che lo faceva maturare rigoglioso e perfetto.

Mio padre aveva un vigneto, e quello che gli ho visto fare è qualcosa che resterà in me per sempre.

Lavorava in una fabbrica e, dopo lavoro, curava le sue vigne quasi fossero figlie sue, con amore, passione e dedizione.

Nulla si improvvisa, e lui non improvvisava nulla.

Io volevo dargli una mano, ma che mano può dare una bambina? Eppure ero la sua aiutante; con mia sorella andavo nei campi, lì dove un altro mondo si apriva, fatto di risate e di rincorse, di scoperte e di amore.

A novembre le giornate si accorciavano e iniziava la potatura, per far sì che le vigne crescessero rigogliose. E’ il periodo migliore perché le piante sono a riposo e si possono tagliare i tralci dell’anno passato. Anche qui nulla era lasciato al caso: c’è di mezzo la vita di una pianta…

Sono ricordi vivi nella mente i miei, quelli di un bambino che assorbe tutto quello che un adulto può insegnare. Ho imparato che per ottenere un buon vino, oltre ad una buona dose di fortuna con il clima che sempre comanda, ci vuole molta passione e amore per la terra. Mio padre non diceva “farò”, “faccio domani”. Non rimandava nulla.

E mentre qualche mio amico se ne stava chiuso in appartamento io guardavo la natura da un altro punto di vista: le scarpe infangate quando per i campi cercavo di rendermi utile, il risveglio fatto di leggiadre farfalle che volavano attorno ai primi germogli, l’aria calda ed estiva delle vacanze che maturava il frutto dell’uva. Il fiore d'arancio che nasceva lentamente...

Arrivava infine il periodo della grande festa, che tutti chiamavano vendemmia. Vedere tutta quella gente lavorare assieme con il sorriso sulle labbra nonostante la fatica era un momento di gioia.

C’erano amici e parenti che correvano a destra e a sinistra con cassette di legno piene di uva da svuotare nel rimorchio. C’erano donne con il fazzoletto annodato in testa che con le braccia protese al cielo tagliavano di netto con una forbice il grappolo d’uva. C’erano bambini che correvano sotto le vigne e lungo i filari, perché la festa era per tutti. Qualcuno cantava, qualcuno raccontava storie, qualcuno mangiava qualche chicco d’uva appiccicaticcio, unto ma di un gusto inconfondibile.

Mi ricordo il primo succo d’uva, quello prima della fermentazione.

Ricordo che la nonna ne prendeva un secchio e se lo portava in cucina dove la stufa era sempre accesa ed un odore di legna scricchiolante aleggiava perpetuo nell'aria.

Quello era il mosto, dolce e profumato che veniva lavorato da sapienti mani per diventare vino cotto con l’aggiunta di zucca, patate americane e mele cotogne. Ne nasceva una composta che fatico ancora a dimenticare. Altre volte si facevano i sugoli mettendo a cuocere sopra la stufa quel nettare assieme a farina bianca e gialla e mescolando per molto tempo, mentre fuori il lavoro continuava per trasformare il succo in vino.

E così continuavano per ore e per giorni i riti di una vendemmia che si tramandavano da generazioni. Questa è storia da tenere in mente, sono racconti che devono sopravvivere al tempo e alla modernità. Sono i ricordi di una bambina, piccola e riccia, che non vuole dimenticare la magia di questo frutto chiamato uva.









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