Ah Venezia!
A solo pronunciarne il nome mi
scappa un sorriso.
Amo Venezia, di un sentimento
puro, di quelli che fanno star bene.
Perché ogni volta che la vedo
sono felice.
Ogni volta che ci torno sto bene.
Già da quando il treno attraversa
la laguna sono felice.
E poi quando arrivo l'odore di
salsedine e di mare mi scoppia in faccia, quasi a darmi il benvenuto.
Come si fa a non amarla, che
abbia i turisti che ti calpestano, che non ci sia nessuno, lei è bella, ma
bella veramente.
L'ultima volta ci sono stata
grazie ad un workshop di fotografia organizzato dai ragazzi di Slowmotion.
My slow Venice, questo il titolo
del corso, e la dice lunga.
Una Venezia assaporata lentamente
con al collo una macchina fotografica pronta a scattare.
Sembra facile vero?
Sembra.
La lezione di teoria mi insegna a
rapportarmi con la fotografia in modo diverso. A non scattare sempre e
comunque, ma a soffermarmi, a studiare, a cogliere.
Atti che dimentichiamo spesso con
una reflex in mano, perché, presi dall'impulsività, scattiamo a
raffica foto che non hanno nulla da dire.
E come spiega Roberto, il
fondatore di Slowmotion " La fotografia è uno strumento per comprendere il
mondo e se stessi, per condividere e raccontare storie vere".
Niente di più vero e sincero.
Tutto da mettere in atto.
Dobbiamo raccontare una storia, e
la storia deve avere un filo conduttore.
Chi poi andrà a leggerla dovrà
capirne il senso.
Per questo non è facile, ma è
estremamente affascinante provarci.
Scendo in campo e la prima regola
è stata: perdersi!
Beh, facile perdersi a Venezia,
ma la osservo con occhi nuovi e con una lentezza inusuale alla quale non sono abituata.
Mi perdo dopo il ponte delle
Guglie.
Letteralmente perdo il resto del
gruppo.
E cammino, senza una meta e senza
uno scopo ben preciso, se non quello di studiare, di cercare, di vedere cose
nuove, volti accesi, barche lasciare la scia.
Il compito per l'indomani è pressoché lo
stesso.
Ma a Venezia c'è la festa di San
Marco, quindi vi lascio immaginare i fiumi di persone che popolano la città.
Ma tutto si può fare, anche
perdersi di nuovo e intrufolarsi in calli e sottoporteghi pieni di desolazione,
scontrarsi con persone del luogo che borbottano qualcosa contro i turisti.
Io con lo zainetto, e la macchina
fotografica al collo.
Una perfetta turista, anche se
non lo ero.
Presa in causa dall'apparenza.
Passi veloci, gente che parla il
bel dialetto.
Musica da una finestra, rende
l'atmosfera più soave.
Io continuo a camminare, anche se
i piedi dentro a scarpe sbagliate cominciano a farmi male.
Non mi importa.
Passo accanto a porte scrostate,
a muri che hanno avuto tempi migliori, a panchine vuote dove fermarsi a
riposare.
In tutto questo scatto.
Scatto poco, scelgo valuto.
Questa cosa non l'avevo mai
fatta.
Questa cosa mi piace.
Un laboratorio artigianale con la
porta aperta si lascia guardare.
Due signori all'interno mi
invitano ad entrare.
La vera Venezia, i veri Veneziani
impegnati in un lavoro manuale: il restauro.
L’odore di vernice impregna le
narici, quasi brucia.
Ma gli occhi svelti cercano la
mano di quell'artista che con un pennello e la sua maestria sistema una cornice
con foglie d’oro.
Lentamente, anche lui.
Esco.
Alzo la testa al cielo per
scorgere un aereo che sta atterrando, per vedere la signora che stende i panni,
per intravedere un uomo che a petto nudo fuma una sigaretta appoggiato al
davanzale.
Queste sono fotografie.
L'attimo in cui le vedo.
L'attimo in cui le scatto.
Ecco Venezia, sotto una veste
nuova, sotto consapevolezze nuove.
Le mie.
Non si finisce mai di imparare.
Che frase scontata, ma pur sempre
vera.
Non diventerò una fotografa, ma
di sicuro guarderò il mio soggetto con occhi diversi!
E ora prendete la vostra macchina
fotografica, qualunque sia, e divertitevi!