LE MINIERE DI CAPOLIVERI UN MONDO ANTICO E PIENO DI FASCINO

by 6:23 PM




All'Elba c'è una parte di isola che mi era sconosciuta.
Si conoscono spiagge stupende e paesini degni di una favola, ma in pochi conoscono un luogo che attrae nel vero senso della parola.
Sto parlando di Punta Calamita...e tutti noi sappiamo cos'è una calamita.

L'Isola d'Elba non è solo un luogo di villeggiatura, l'Isola è stata, ed è tutt'ora, casa di molte persone che ci lavorano.
L'attività lavorativa più importante in passato era quella mineraria, in particolare del ferro; dico "era", perché dal 1981 per motivi economici le miniere sono state chiuse.
Pensate alla grandezza dell'isola e quegli operai che partivano dal capo opposto facendo giornalmente chilometri in bicicletta o a piedi per raggiungere il proprio posto di lavoro...sotto terra.
Ed era una fortuna essere assunti.
Una fortuna...

Se mi soffermo a pensare, immagino la fatica che queste persone sopportavano ogni giorno per vivere, anche se dalle testimonianze lasciate si capisce che i minatori erano orgogliosi di far parte, da tenaci Capoliveresi, di un'eccellenza italiana, di contribuire con il loro duro lavoro.
Si parla dei primi del novecento, provate a pensare...
La paga dipendeva dalla quantità di ferro che si estraeva, un modo ingiusto e non preciso per un lavoro e una fatica del genere, svolta con mezzi rudimentali. 
Capitava poi, qualche volta, una variabile: la pioggia.
Se pioveva, la sirena faceva risalire tutti in superficie e si era costretti a tornare a casa a mani vuote senza i soldi giornalieri necessari per mantenere la famiglia.
Se non lavori non guadagni. Questa era la logica.
Con gli anni le condizioni sono poi migliorate, i bus hanno sostituito i piedi e la bicicletta, e gli arnesi rudimentali hanno lasciato il posto a martelli pneumatici.
Il lavoro era sempre duro, ma agevolato, e appena un ragazzo compiva quattordici anni faceva domanda per andare in miniera.





Le miniere sono sorte sul monte Calamita, il nome come avete ben capito viene dall'estrazione di magnetite, uno dei minerali presenti tra la roccia.
Le bussole potrebbero perdere colpi in questa zona, il telefono non prende, sembra di essere sull'isola di Lost...ma questa è realtà.

Nelle vecchie officine del cantiere Vallone ora c'è il Museo della Vecchia Officina. Qui non si trova solo la storia della miniera, ma la storia delle persone che hanno dato il loro sudore scendendo nel buio della terra per interminabili ore durante il giorno. Ognuno aveva un compito particolare che qui viene ricordato; mi ha colpito il fatto (chiaramente ovvio) che ognuno venisse registrato in modo da verificare a fine giornata che tutti fossero risaliti.

C'è la possibilità poi di visitare le miniere, la Galleria del Ginevro, con i suoi misteriosi luoghi senza luce, e scenari di silenzi interrotti solo dal rumore di passi e di martelli sulle rocce.
Si scende per ventiquattro metri sotto terra. Sembrano pochi.
Si scende con il caschetto in testa e la torcia, stando attenti a non scivolare sui gradini umidi.

Io sono scesa, poco e per poco.
Non c'è l'ho fatta a finire il giro con il gruppo e sono stata riaccompagnata in superficie.
Per me è stato difficile, soffro a stare nei luoghi chiusi, specie così profondi e grandi, è un mio limite, ma credo che lì sotto ci sia un mondo da scoprire in rispetto per chi ci ha vissuto.



Da visitare anche la Miniera del Vallone, vista mare. Qui non si scende, ma si cammina tra i resti di macchinari che hanno funzionato fino ai primi anni ottanta. Nella sua decadenza lo scenario mi è piaciuto molto, sarà per la presenza del mare, o per quella della storia di molti operai, ma credo sia uno di quei luoghi degni di essere visitati.

Mi affascinano le storie passate della gente comune, penso a come era scandita la vita di quelle persone, dell'isola che era la loro terra, la loro speranza per il futuro.
Caterina, la guida, ne ha raccontate mentre io nella mente facevo rivivere quei momenti.
Mi ha accompagnata anche nella spiaggia sotto alle miniere del Vallone, dove l'acqua del mare leviga e porta a riva migliaia di pietre minerali colorate, quasi da raccoglierle tutte, e pensare mentre brillano nelle nostre mani a quanto è costato a molti uomini il loro ritrovamento.




Non perdete di vista mai luoghi come questi, che fanno parte dell'isola e della nostra storia. Prendetevi del tempo per visitarli e per capire molte cose.



Informazioni:

Le informazioni per le visite guidate alle miniere le trovate nel sito Miniere di Calamita
La strada per arrivare a Punta Calamita la si prende da Capoliveri e ad un tratto diventa sterrata. Fermatevi ad ammirare uno dei paesaggi splendidi che l'Isola d'Elba ha da offrire...ed è totalmente gratuito!




Fate un salto all'Elba (In foto Valentina di Diarioinviaggio )
















VENEZIA TRAPANI ANDATA E RITORNO...PASSANDO DA PALERMO CON RACCONTI SICILIANI

by 5:17 PM



Ho scelto la Sicilia e la zona di Trapani.
L'ho scelta di nuovo, dopo qualche anno, 
Nei posti in cui si sta bene, e ci si sente a casa, si ritorna sempre.

E poi fa parte delle meraviglie sotto casa, raggiungibile con voli low cost da prendere "al volo" per scoprire luoghi di una bellezza unica.
E così ho fatto, ho comprato un volo Ryan Air con destinazione Palermo, pronta a conoscere un altro pezzettino di quella affascinante isola chiamata Sicilia.
Non ho pensato di noleggiare la macchina, a volte è bello viaggiare in modo diverso. E poi la decisione è stata guidata anche dall'orario di arrivo a Palermo in tarda serata: se il volo avesse fatto ritardo c'era il rischio di non poter ritirare l'auto.
In effetti il volo da Treviso è poi partito con un'ora e mezza di ritardo, quindi la mia scelta si è rivelata perfetta!

Mica ci sono andata a piedi però a Trapani e nemmeno con il teletrasporto (anche se sarebbe una cosa super), ma ho usato un transfer.

In circa un'oretta un taxi mi ha portato a destino e mentre le luci scorrevano all'esterno senza mostrare bene quale fosse il panorama, l'autista mi raccontava di specialità culinarie, di posti dove andare a mangiare, di pasta ai ricci di mare e di panini cunzati.
Ammetto che la mia pancia ha cominciato a brontolare e la mia testa a sognare arancini morsi con avidità in riva al mare.
Che ci volete fare, la Sicilia per me significa anche buon cibo, e lo ammetto ci sono andata per risentire ancora una volta quei gusti unici, che profumano di mare e di medio oriente.

Avevo una settimana a disposizione, quindi ho cercato di organizzarla nel miglior modo possibile per consentirmi vedere città nuove, eventi imperdibili e ovviamente per avere tutto il tempo necessario per mangiare!

Facendo base a Trapani ho visitato la città, e poi Erice, Marsala e Mazara del Vallo, spostandomi da Trapani in treno. Poi sono stata traghettata a Favignana per qualche altro giorno, dove mi sono mossa in bicicletta, o a piedi.

Come detto spesso, negli ultimi anni, cerco di non correre, ma di fermarmi e godere dei posti e dei luoghi e delle persone.

Di tutti i posti visti ve ne parlerò nel blog un po' alla volta, per farvi assaporare, per quanto possibile, le stesse sensazioni che ho provato io.

Al settimo giorno, a malincuore ho dovuto lasciare il mare e il rapporto che con lui avevo instaurato. Ho dovuto salutare il vento che incessante mi ha accompagnata, per tornare al nord in attesa di ripartire ancora....
Di nuovo il servizio di transfer mi ha riportato in aeroporto, questa volta di pomeriggio, e ho potuto ammirate il paesaggio che mi ha affascinata almeno quanto le storie che mi ha raccontato l'autista.
Per esempio c'è una casa che ha la cucina nel comune di Trapani ed il bagno nel comune di Erice...i confini sono una cosa strana.
Un'altra storia o leggenda che sia, parla di come sia nata la mafia con i delitti da uomo d'onore. Questa storia, pensate, al mio autista pare l'abbia raccontata uno studioso francese venuto in viaggio in Sicilia. C'era una nobildonna, la baronessa di Carini, moglie di Don Vincenzo che fu uccisa dal padre per motivi d'onore assieme al presunto amante.
La storia in sé la si conosce, ma che fu la nascita di qualcosa di più grande in pochi lo sanno.

Perchè il viaggio è fatto anche dalle persone che si incontrano lungo la strada e dai loro racconti!




Informazioni utili

I voli della Ryan Air come ben sapete sono economici se presi per tempo, sotto data il prezzo può salire anche un bel po'. Da Treviso a Palermo ci vuole circa un'ora e mezzo di volo.
Per il transfer dall'aeroporto di Palermo a Trapani città e viceversa mi sono servita del servizio di Trapani Tourism Service puntuali, cortesi e soprattutto mi hanno raccontato un sacco di storie e aneddoti. Capite che io vengo dal nord, il tassista che di solito mi porta in aeroporto è già tanto se mi dice buongiorno...
La società trapanese non solo fa trasferimenti dagli aeroporti di Palermo e Trapani ma organizza anche escursioni nella parte occidentale dell'Isola, ideale per chi non ama organizzarsi da solo le varie visite nei dintorni di Trapani. Potete sceglierle in base al vostro tempo e al vostro budget, con una guida o solo con l'accompagnatore!

#INNESTASTORIE E LA MIA STORIA RACCONTATA A VINITALY

by 5:32 PM






Domenica al Vinitaly è stato presentato InnestaStorie, il progetto (eno)letterario dei giovani viticoltori veneti.
Lo scopo era quello di raccontare il ricambio generazionale in viticultura.
E tra i racconti presentati c'era anche il mio.
Grazie al Consorzio Vini Colli Euganei  che ha lanciato "Fiori d'arancio in cerca d'autore" ho potuto raccontare qualcosa di me.

Di solito su questo blog scrivo solo di viaggi, ma come ben sappiamo, tutti abbiamo delle storie da raccontare, e quella che ho scritto per InnestaStorie è vera, e parla della mia infanzia, di vino e del duro lavoro che ci sta dietro a quel grappolo, per farlo diventare un nettare unico.
Parla di mio padre, che ho amato ed amerò per sempre, perché mi ha insegnato molte cose...avrei voluto me ne insegnasse molte altre, ma il destino a volte non chiede il permesso.
Anche questa storia, a modo suo, è un viaggio....




Ricordi di bambina.

In effetti ero una bambina. Avevo i capelli i ricci, le guance rosse e degli occhiali tondi, come quelli di Harry Potter, anche se il maghetto sarebbe stato pensato solo molti anni più tardi.

Vivevo in città, ma in realtà era campagna. Ero ai margini della zona abitata, con campi coltivati attorno e animali nella stalla.

Di questo mi vergognavo perché mi chiamavano la campagnola.

Ora invece ne vado fiera, perché ho vissuto la mia infanzia tra le fasi lunari della semina e dei raccolti, con in mano conigli appena nati, e ho visto nascere pulcini in una magia che ancora oggi non riesco a spiegarmi.

Ma un’altra delle magie a cui prendevo parte era il percorso che quel frutto pieno di chicchi dorati faceva per diventare un nettare divino.

Il frutto che nasceva dalla terra e che cresceva mese dopo mese, esposto alle intemperie, al sole, alla pioggia, alla grandine che tutti temevano.

E nonostante tutto continuava a crescere noncurante di quello che poteva capitargli, con una voglia di vivere dentro che lo faceva maturare rigoglioso e perfetto.

Mio padre aveva un vigneto, e quello che gli ho visto fare è qualcosa che resterà in me per sempre.

Lavorava in una fabbrica e, dopo lavoro, curava le sue vigne quasi fossero figlie sue, con amore, passione e dedizione.

Nulla si improvvisa, e lui non improvvisava nulla.

Io volevo dargli una mano, ma che mano può dare una bambina? Eppure ero la sua aiutante; con mia sorella andavo nei campi, lì dove un altro mondo si apriva, fatto di risate e di rincorse, di scoperte e di amore.

A novembre le giornate si accorciavano e iniziava la potatura, per far sì che le vigne crescessero rigogliose. E’ il periodo migliore perché le piante sono a riposo e si possono tagliare i tralci dell’anno passato. Anche qui nulla era lasciato al caso: c’è di mezzo la vita di una pianta…

Sono ricordi vivi nella mente i miei, quelli di un bambino che assorbe tutto quello che un adulto può insegnare. Ho imparato che per ottenere un buon vino, oltre ad una buona dose di fortuna con il clima che sempre comanda, ci vuole molta passione e amore per la terra. Mio padre non diceva “farò”, “faccio domani”. Non rimandava nulla.

E mentre qualche mio amico se ne stava chiuso in appartamento io guardavo la natura da un altro punto di vista: le scarpe infangate quando per i campi cercavo di rendermi utile, il risveglio fatto di leggiadre farfalle che volavano attorno ai primi germogli, l’aria calda ed estiva delle vacanze che maturava il frutto dell’uva. Il fiore d'arancio che nasceva lentamente...

Arrivava infine il periodo della grande festa, che tutti chiamavano vendemmia. Vedere tutta quella gente lavorare assieme con il sorriso sulle labbra nonostante la fatica era un momento di gioia.

C’erano amici e parenti che correvano a destra e a sinistra con cassette di legno piene di uva da svuotare nel rimorchio. C’erano donne con il fazzoletto annodato in testa che con le braccia protese al cielo tagliavano di netto con una forbice il grappolo d’uva. C’erano bambini che correvano sotto le vigne e lungo i filari, perché la festa era per tutti. Qualcuno cantava, qualcuno raccontava storie, qualcuno mangiava qualche chicco d’uva appiccicaticcio, unto ma di un gusto inconfondibile.

Mi ricordo il primo succo d’uva, quello prima della fermentazione.

Ricordo che la nonna ne prendeva un secchio e se lo portava in cucina dove la stufa era sempre accesa ed un odore di legna scricchiolante aleggiava perpetuo nell'aria.

Quello era il mosto, dolce e profumato che veniva lavorato da sapienti mani per diventare vino cotto con l’aggiunta di zucca, patate americane e mele cotogne. Ne nasceva una composta che fatico ancora a dimenticare. Altre volte si facevano i sugoli mettendo a cuocere sopra la stufa quel nettare assieme a farina bianca e gialla e mescolando per molto tempo, mentre fuori il lavoro continuava per trasformare il succo in vino.

E così continuavano per ore e per giorni i riti di una vendemmia che si tramandavano da generazioni. Questa è storia da tenere in mente, sono racconti che devono sopravvivere al tempo e alla modernità. Sono i ricordi di una bambina, piccola e riccia, che non vuole dimenticare la magia di questo frutto chiamato uva.









FONDAZIONE JONATHAN COLLECTION, UN MUSEO CHE VOLA DAVVERO

by 4:34 PM





Immerso nelle colline trevigiane c'è un museo fatto di storia.
Questa volta non si studia sui libri, ma all'aria aperta.
Siamo in una terra che è stata teatro di sanguinose battaglie durante la Prima Guerra mondiale, e proprio qui nasce una fondazione che ha lo scopo di commemorare alcuni dei combattenti, dei signori eleganti con le ali e una carlinga...

Gli aerei storici sono i protagonisti di un luogo in cui il tempo sembra essersi perso e passato e presente si fondono in un unico momento.
Un hangar della prima guerra mondiale ospita riproduzioni di aerei famosi che Giancarlo Zanardo, pilota per passione, classe 1939, ha costruito con le proprie mani, in riproduzioni perfette di aerei per la propria collezione esposta alla Fondazione Jonathan Collection. Tra i molti c'è anche il Flyer progettato dai fratelli Wright, il primo aereo che si sollevò da terra nel 1903.



Ora, capite che quando ho messo piede dentro quell'hangar mi sembrava di essere nel film di animazione Planes? 
Perdonatemi, ma con un bambino a casa innamorato di tutto quello che ha due ali per volare mi viene semplice la trasposizione animata.
Comunque è veramente un luogo magico per chi ama volare e per chi è appassionato di aerei storici.
Dietro a tutto questo c'è una persona che ha volato sopra molti cieli e ha voluto donare a tutti noi un pezzetto di quella passione che gli ha fatto passare molte ore all'interno di carlinghe di legno e sedili scomodi. Cuffie, giubbotti di pelle e occhiali erano l'abbigliamento del pilota mentre il vento faceva galleggiare queste strane macchine volanti. Volare per me è magia, anche se so che si tratta di qualcosa di più profondo che ha a che fare con l'ingegneria...
A me piace sognare e alla fondazione si può sognare in grande, anzi, lì i sogni possono diventare realtà.
Infatti è possibile volare con piloti esperti sopra le colline. E' un'esperienza emozionante, raccontata da chi su quegli aerei ci è salito con il cuore in gola dalla felicità (io avrei avuto un po' di paura, ma anche la paura fa parte delle emozioni). 





La pista in erba lunga più di un chilometro fa rullare splendidi velivoli, dei quali, lo ammetto, ne ho riconosciuti molto pochi. Ma i musei sono nati per questo, no? Per far conoscere e divertire, per farci entrare in un mondo che altrimenti sarebbe sconosciuto.
Il mondo della Fondazione Jonathan Collection è adatto a grandi e bambini (assolutamente sì) che si possono immaginare piloti alla scoperta del mondo.
E poi chi non vorrebbe fare un pic nic in un posto del genere? A disposizione dei visitatori c'è un'area dedicata per passare una giornata tra aerei che sembrano usciti da un film, tanto verde e tante storie da ascoltare che lasciano a bocca aperta!


Informazioni

La Fondazione Jonathan Collection si trova a Nervesa della Battaglia, in provincia di Treviso. La cosa simpatica è che puoi arrivarci in auto oppure in aereo e nel sito sono indicate tutte le coordinate per l'atterraggio in pista: mi raccomando non prendete l'Airbus 380 però.
Per la visita al museo è richiesto un contributo di 5 euro.
Per tutte le altre informazioni consultate il sito jonathanaereistorici.it







Non assomiglia a Planes?


DOVE DORMIRE A LISBONA: INSPIRA SANTA MARTA HOTEL

by 3:27 PM





Lisbona a settembre è stata una di quelle idee fantastiche che improvvisamente si impossessano di me.
C'era la voglia di vedere una città fuori stagione, quando la folla di turisti diminuisce e si può godere di piazze e musei senza dover fare a botte con il vicino; e la voglia di poter stare in silenzio ad ammirare il paesaggio senza che qualcuno si metta davanti a te perché crede che la sua foto sarà meglio della tua.
In realtà città meravigliose come Lisbona sono sempre piene di viaggiatori che vogliono viverla talmente intensamente fino ad averne nostalgia ancor prima di ripartire...

Una volta, quando ero più giovane, poco mi interessava dove avrei dormito.
Doveva essere economico, più o meno pulito e con l'acqua corrente. In fondo dovevo starci solo la notte, tutto il resto del tempo lo avrei passato in giro a scoprire e a curiosare.
Ora sono cresciuta e viaggio spesso con il mio piccolo viaggiatore.
Ovviamente l'economia è ancora una priorità, ma sto attenta anche ad altre piccole cose. Da quando ho un bambino la giornata in giro per la città spesso si spezza in due, quindi tornare alla base e trovare una sistemazione comoda e confortevole per un paio d'ore rientra nelle priorità per le ricerche della sistemazione durante un viaggio.
Con gli anni si cambia, o si invecchia...punti di vista, e ci si vuole coccolare.
Poi magari quando mio figlio sarà più grande partiremo assieme con zaino in spalla e tornerò a dormire in posti approssimativi, con i bagni in comune (mamma illusa, lo so)...



Tutto questo per arrivare all'Hotel dove ho soggiornato a Lisbona.
Si chiama Inspira Santa Marta Hotel e si trova vicino ad Avenida de Libertade e a Praca do Marques de Prombal, praticamente in centro città, punto di partenza per itinerari a piedi.

La cosa più bella? Per me, in assoluto, la colazione. Adoro quel momento del giorno che rimane in balia tra la notte e le nuove avventure, quando come un diesel devo carburare un attimo per rendermi conto di quello che devo fare. E in viaggio, quando l'orologio si ferma, mi piace dedicarmi a questa primissima parte della giornata quasi fosse un rito, a partire dalla scelta del posto, all'osservare cosa offre il menù inebriata dal profumo di pane caldo.
Ed è stato proprio durante la mia prima colazione in questo hotel che ho assaggiato per la prima volta il pasteis de nata...e niente! da quel giorno molte cose sono cambiate, nuove percezioni e nuove domande si sono impossessate di me, per esempio: ma come ho fatto a vivere fino ad ora senza il sapore di questa meraviglia???? Poi ho ovviamente assaggiato quelli di Belem e l'estasi è continuata per giorni...

Passiamo alla stanza, che vorrei ricostruire in casa mia; purtroppo il bricolage non è ancora tra i miei hobby preferiti. Progettata in base ai principi del feng shui, per riposare nel miglior modo possibile, in armonia con ciò che ci circonda. Tutta la camera, compresa la zona bagno, è un open space con alcune pareti divisorie (la zona wc ha la porta eh!) in modo da creare un unico spazio ampio in cui vivere.






Altro punto di favore è il ristorante, che ho provato una sera perché il piccolo era a livelli di stanchezza sopra il limite consentito. Quindi ho pensato alla comodità di provare il ristorante in Hotel. Si chiama Open Brasserie Mediterranica ed è ovviamente aperto a tutti, non solo agli ospiti del Santa Marta. Serve piatti della cucina mediterranea, anche senza glutine. Lo chef, rispondendo alle mie domande impertinenti, mi spiegava che i prodotti alla base dei piatti sono tutti biologici, per dare un valore aggiunto ad una cucina ricercata ma tradizionale.



Io mi sono trovata benissimo, in una città che ho adorato. Ci sono stata solo tre giorni, effettivamente troppo pochi, ma non escludo di tornarci presto.
Nei prossimi post vi racconto di Lisbona vista con i miei occhi e con quelli del piccolo viaggiatore!

Per informazioni consultate il sito Inspira Santa Marta Hotel


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