Berkeley è da sempre uno
dei nomi delle università americane, che tutti collegano ad un polo culturale
alternativo ed anticonformista. Perciò, quando mi capita di andare per lavoro
un paio di settimane vicino a Sacramento con il mio amico-collega francese J.,
e lui mi spiega che ha un caro amico che fa il ricercatore all'università di
Berkeley, e che volendo potrebbe ospitarci qualche giorno, non ci pensiamo due
volte e accettiamo l’invito forzato di D. a trascorrere un weekend lungo a casa
sua.
L’arrivo non è dei
migliori. Atterriamo stanchi in serata a San Francisco e prendiamo un taxi fino
a Berkeley, confidando nel rimborso aziendale…perché il tassametro scorre
veloce lungo le 27 miglia che ci separano dalla casa di D. e alla fine segna
circa 150 $.
La casa però è magnifica.
Adagiata sul fianco delle colline al limite della città, completamente in
legno, realizzata da un architetto della scuola di Wright. Sono estasiato.
Mentre entriamo D. saluta un paio di sue amiche e ci mostra la veranda, la
cucina, il soggiorno, la sua camera e il bagno. Noi possiamo sistemarci su dei
materassini gonfiabili in soggiorno per dormire, ma ora è il momento di un
mojito con Ruth, che è appena arrivata. Mi sovrasta in altezza e in stazza,
capisco una parola su tre di quello che dice, e la maggior parte delle volte
quella parola è “fuck”, ma mi sembra simpaticissima. Dopo l’aperitivo e qualche
procione in cucina (carinissimi, ma pare che i procioni siano una piaga per gli
abitanti…) andiamo a casa di Bridget per una cena a base di ostriche. Bridget
si presenta con un livido gigantesco su mezza faccia. Io ovviamente non dico
nulla, l’ho appena incontrata!! Ma D. dopo un po’ le chiede come va la botta…e
lei racconta che sta meglio, ma che non è più andata a fare surf nell’ultima
settimana, e mi spiega che quando si surfa bisogna sempre stare attenti,
“perché c’è sempre una seconda onda!!!”. Capisco e mi faccio raccontare delle
sue esperienze alla Half Moon Bay, che pare sia uno spot perfetto a sud di San
Francisco, in particolare per i principianti, nonostante le seconde onde.
Il giorno dopo io e J.
Andiamo a San Francisco con il Bart (il treno che collega tutta la Bay Area);
io ci sono già stato, ma quella città è incredibile e così ci ritroviamo a
camminare in mezzo al set di un qualche film di Will Smith, con la polizia che
ci allontana, prima di farci un classico giro in cable car e approdare al
turisticissimo Pier 39.
A cena ritroviamo D. e mangiamo ostriche (ancora???) e poi ci riporta a Berkeley: prima in uno splendido bar per bianchi dove c’è un novantenne che suona il piano e accetta richieste, che puntualmente non soddisfa; poi in un locale per neri; D. contratta qualche minuto con il buttafuori, sembra non vogliano farci entrare, ma alla fine ce la facciamo e ci ritroviamo a ballare musica a palla in un misto tra reggae e rap. Prima di andare a casa ci vuole una birra in un pool bar…ma D. passa sempre così i suoi venerdì sera??
Arriviamo a casa
distrutti, è notte fonda, e crolliamo sui nostri materassini, mentre D. si
mette a lavorare…”Ragazzi, domattina fate il baccano che volete, io dormo con i
tappi, non preoccupatevi. E se andate a Point Reyes,
attenti a the big one!!”. Perchè il
Parco di Point Reyes è proprio a cavallo della Faglia di Sant’Andrea, e qui
pare che tutti aspettino the big one da un momento all'altro. Noi speriamo che non
arrivi proprio mentre ci siamo noi, e prendiamo una macchina a noleggio per
arrivarci e fare una camminata fino all'oceano, dove il panorama attutito dalla
nebbia è spettacolare. Sulla via del ritorno ci fermiamo a guardare il Golden Gate. L'effetto che fa vederlo è probabilmente simile a quello che faceva sui 49ers quando arrivavano nella Bay Area carichi di aspettative.
“Sulla strada del ritorno
non dimenticatevi di comprare le ostriche!”, questo ci ha anche detto D.; e
così prima di rientrare ne compriamo un sacco e io giuro che stavolta non le
mangerò, perché tre volte in due giorni per me è decisamente troppo!!
Appena rientrati
scopriamo che ci autoinviteremo ad una festa in una casa privata. E così
camminiamo per le strade di Berkeley fino ad una casa da film, che scoppia di
persone…Ritroviamo Ruth e Bridget e una serie di altri personaggi che D.
conosce. Sembra veramente di entrare in uno di quei cliché hollywoodiani: di
sotto una grande sala con musica dal vivo, un gigantesco giardino e di sopra
una serie di stanze. C’è da bere e da mangiare, non ho idea di chi sia il
padrone di casa, ma lo scopro nel giro di 3 minuti quando una ragazza comincia a
parlarmi e mi indica i ragazzi che abitano qui. E’ carina, e dopo due domande
adocchia l’anello che porto al dito e mi chiede se sono sposato. Le dico di sì,
e lei gentilmente mi dice che è stato bello conoscermi e magari ci
rincontreremo. La serata si scalda quando arriva un gruppo di percussionisti
che comincia a suonare, e mi sento come nella scena del party di Matrix
Reloaded, un gruppo di persone che balla al ritmo di percussioni fortissime, tutti
insieme, e mi ritrovo Ruth accanto che ogni tanto mi sposta di un metro con i
suoi fianchi. Dopo il ballo c’è bisogno di bere e, mentre cerco una birra, mi
imbatto nella ragazza di prima che esce con un altro da una delle stanze del
piano di sopra. Penso che sono proprio uno sciocco…
Mi riunisco a J. che parla
con un gruppo di canadesi, del più e del meno. Sono simpatiche; poi a un certo
punto ci chiedono quando ci siamo sposati. J. dice nel 2003, io dico nel 2004.
Ci guardano senza capire. Le guardiamo senza capire. E alla fine ci spiegano
che pensavano fossimo sposati insieme, e che tutta la gente alla festa lo
pensa: siamo arrivati insieme, abbiamo lo stesso anello, e pure un’aria
decisamente omo. Penso che sono proprio molto sciocco…
Stufo di essere il
partner di J. mi avvio verso casa dove mi attende il mio materassino
gonfiabile. Il giorno dopo ci alziamo e D. ci spedisce in centro Berkeley
perché c’è una festa pazzesca, un po’ da nerd, ma splendida. Ed effettivamente
troviamo un po’ di tutto, DJ in strada che suonano musica a palla, una marea di
auto customizzate, e un palco con gente che sembra venire direttamente da
Woodstock. L’atmosfera è decisamente splendida. Berkeley è decisamente
splendida. E penso che si fosse una seconda onda e potessi tornare indietro e scegliere di fare l’università negli States, questo è il posto dove vorrei andare. Tanto mica
potrei permettermi ostriche tutti i giorni!!
Paolo