LA SALITA A STROMBOLI

by 4:27 PM




La salita a Stromboli è stata una delle esperienze più belle della mia vita.
Una di quelle cose che non credi possa succedere fino a che con i tuoi piedi non imbocchi, carica di adrenalina, il sentiero che lentamente ti porterà fino in cima. 
E quando dico cima, mi riferisco ai 924 m che la separano dal mare.

La prima parte di questo post è romanticamente emozionale, per le informazioni pratiche e forse più utili dovrete leggere tutto fino alla fine.
Del resto, quando un'esperienza ti tocca profondamente, puoi scriverne e condividerne le emozioni, per renderla ancora e sempre viva. Per quanto in parte io possa essere gelosa di questa esperienza, non posso non raccontarvela.

Mentirei dicendo che ero tranquilla, quei novecento m di dislivello mi tintinnavano in testa da giorni, insieme al pensiero che forse non ero preparata a sufficienza per affrontarli. Paturnie mentali che sono solite impossessarsi di me e della mia autostima. 
Forse avevo solo paura, a volte fatico a vivere il momento perché sono proiettata verso ciò che viene dopo, e non sapere cosa mi aspetta mi destabilizza un poco: può essere mania di controllo sulle cose o qualcosa di simile a quello che provano i bambini quando chiedono ogni dieci minuti quanto manca per arrivare alla fine del viaggio.

Eppure, non si è trattato di nulla di inaffrontabile, è bastato procedere un passo dopo l'altro, lento o veloce che fosse; contava solo la strada, il sentiero, un qualcosa di nuovo da percorrere, solo questo mi eccitava profondamente, poi tutto il resto è venuto in scia, emozione compresa.

Certe cose si faticano a descrivere.


La salita allo Stromboli è stato un centrifugato di sensazioni, di pensieri, di bellezza con la quale riempirsi gli occhi, di profumi di cui era intrisa l'aria, di rumori ovattati dal silenzio, di respiri affannati come quando si fa l'amore, respiri che sono all'unisono con la terra viva sotto ai piedi.
La strada che all'inizio era dolce si è inasprita sempre di più man mano che salivo. Il paesaggio era spettacolare, e i racconti della guida su Iddu ascoltati in sordina erano una melodia da ripetere lungo la scalata. Un orecchio ascoltava le parole e l'altro il suono del vulcano che ci aveva accolto brontolando, quello del mare e dei passi che si facevano sempre più pesanti.
Il sentiero che abbiamo intrapreso è il Labronzo, non il più facile, ma il più bello, scenografico. Passa per la Sciara del Fuoco e già ad un’altitudine modesta si possono vedere le eruzioni di crateri. L'effetto wow è assicurato, ed il mio cuore è impazzito in un misto di affaticamento e meraviglia, tanto da non riuscire a distinguere le due cose.
E poi eccolo il tramonto ad incendiare tutto, quasi a volersi unire al fuoco che arde al centro della montagna. 
Sono i momenti come questi a dirmi ancora una volta che di meraviglia ci si può ubriacare.
Si vorrebbe che questi attimi fossero eterni, ma il sole, si sa, ha sempre fretta quando si tratta di andare a dormire, e il buio ha preso il sopravvento.
La strada, però, non era ancora finita, anzi, al buio e con una torcia sulla testa il percorso si è fatto ancora più duro e impervio. 
Ero stanca, ma la guida mi è stata molto di supporto, in fondo non lo sapevo ma lassù avrei visto tutto con occhi diversi.
Gli ultimi duecento metri... (cosa sono duecento metri?) non finivano più, il terreno sprofondava sotto ai piedi sotto forma di sabbia, il vento mandava raffiche improvvise sollevandola e riversandola negli occhi e nella mia reflex, quindi dovevo fermarmi e ripararmi di spalle, allungando ancora di qualche minuto il momento del mio arrivo.
Poi la fine, nessun'altra salita, solo me stessa, solo il respiro intervallato da qualche parola biascicata velocemente.
Silenzio.
E quando mancano le parole, la cosa migliore è non cercarle.

Ed allora è cominciato lo spettacolo, ed io ero in prima fila.
Uno spettacolo pirotecnico con bombe e lapilli.
Un lampo di fuoco che squarciava le tenebre, un boato, un brivido.
La terra era viva e io respiravo sopra di essa.

Un bicchiere di Malvasia sotto un tetto di stelle è stata magia: il vento faceva tremare me, e forse non era il freddo, ma la stupida adrenalina che ci portiamo in corpo.
E le stelle, le stelle non hanno uguali.
Potevo allungare una mano e quasi toccarle, mi sono seduta a godermi il momento.


E sono estremamente felice di aver condiviso con le mie amiche questi attimi...




Io, Milena e Monica, siamo partite da Vulcano per Stromboli, senza sapere se in realtà saremmo riuscite a salirci sopra, una delle tante incognite che ci hanno accompagnato nel nostro viaggio alle Eolie.
Avevamo una guida, che abbiamo incontrato in aliscafo, ma non avevamo il permesso di scalare il vulcano perché l'accesso non era ancora stato autorizzato dopo l'inusuale l'attività invernale; il programma quindi era di arrivare fino ai 400 m di altezza, oltre non era permesso.
Ma le storie a lieto fine a volte succedono e grazie a Sarah Tomasello di Aeolian Charme e al sindaco di Lipari Marco Giorgianni, abbiamo ricevuto un permesso anticipato per salire fino ai crateri sommitali per ammirare e raccontare come blogger di viaggio uno degli spettacoli più belli al mondo.




Non è per tutti, ci tengo a specificarlo, perché è facile dire "Ma sì, cosa sarà una scarpinata fino in cima?" e invece arrivare in cima è faticoso, molto faticoso.
Vero è che la bellezza di quello che ho visto ha ripagato tutto il fiatone e le gambe che si rifiutavano a collaborare, ma credetemi che qualche parolaccia lungo il tragitto l'ho detta.
Bisogna essere allenati, almeno un po', perché sette ore e più di camminata non sono i quattro giri a piedi del parco sotto casa. Le guide forniscono caschetto, obbligatorio, e le bacchette, che consiglio per supporto morale e fisico. 
Ovviamente ai piedi ci vogliono scarpe da trekking possibilmente alte, un cambio perchè si arriva sudati,  abbigliamento tecnico a strati, perché in cima, a marzo, la sera, le temperature scendono bruscamente dopo il tramonto, e una torcia frontale.
Acqua, carboidrati (sotto forma di panini) e zuccheri per la salita e per le pause. 
Se come me amate la fotografia portatevi oltre alla reflex anche il cavalletto. Non ce l'avevo perché non ci stava nel bagaglio, e quella sera il vento era talmente forte che in ogni caso non avrei fatto granché, mi tocca ritornarci... eh eh.
Ci sono tre sentieri che portano in cima: il classico San Vincenzo, di difficoltà media, il sentiero di Labronzo, che abbiamo fatto noi, di difficoltà alta e il sentiero che parte da Ginostra che è nella mia wish list.
La discesa è uguale per tutti, più che camminare si scivola sul terreno sabbioso, al buio. Si arriva stanchi, lessi, ma una birra può risollevare tutto in un attimo!
Le escursioni si possono fare in gruppo e singolarmente. Non ho provato quella di gruppo, ma posso dire che quella individuale ha un valore aggiunto inestimabile: il costo ovviamente cambia, ma ne vale assolutamente la pena.


Appena scesa mi sono chiesta: "Lo rifaresti?"
Secondo voi quale è stata la mia risposta?











DEATH VALLEY, I LUOGHI DA NON PERDERE

by 9:16 AM



La Death Valley è il parco nazionale più grande degli Stati Uniti e deve il suo nome al fatto che non può esserci vita in quanto si tratta di una zona desertica in cui durante i periodi più caldi la temperatura può raggiungere i cinquanta gradi centigradi.

Le precipitazioni raggiungono i 5 cm l'anno e li ho presi tutti io nei due giorni in cui ci sono stata.
Era inverno, 
era fresco, e i colori erano degni di un quadro impressionista.
Luogo perfetto per chi ama la fotografia.

Ci ho dedicato un paio di giorni scarsi tra acquazzoni e squarci di sole, che hanno reso i paesaggi ancora più colorati. 

Segnatevi questi quattro posti, per il prossimo viaggio!

Zabriskie Point
Sicuramente è il punto panoramico più famoso della Death Valley, ma merita assolutamente di essere visto. Una una terra arida e cattiva dove non può crescere nessuna forma di vita. Zabriskie point è nato dai sedimenti del lago Furnace Creek che si è prosciugato "appena" cinque milioni di anni fa...
Troverete un po' di gente in confronto al resto del parco, ma questo è il prezzo da pagare per visitare luoghi splendidi. C'è la possibilità di fare una breve escursione di circa tre km per vedere da vicino le rocce e i colori che assumono nei vari momenti della giornata... o stagione.





Devil's Golf Course
Tra Furnace Creek e Badwater si trova il campo da golf del diavolo, composto da grandi formazioni di sale che si estendono a perdita d'occhio. Un paesaggio brullo e singolare che merita una breve fermata, per ammirarlo e per camminare sopra alle rocce non rocce fatte di sale. Attenti a non cadere, il terreno è instabile...ma molto affascinate.
"Solo un diavolo può giocare a golf su questa superficie".





Mesquite Flat Sand Dunes 
Sono le dune più accessibili della Death Valley e raggiungono i trenta metri di altezza. Nel vostro itinerario dovete assolutamente includerle e perderci del tempo, perché andarsene via sarà difficile. Che siate bambini o meno rotolare giù dalle dune risulterà l'attività più divertente del giorno. Ovviamente il momento migliore per visitarle è all'alba o al tramonto: d'estate per motivi di temperatura, e d'inverno per gustarsele con i migliori colori che la natura riesce a donare. Percorsi non ce ne sono, o meglio vengono cancellati dalla sabbia portata dal vento come in tutti i deserti, quindi lasciatevi ispirare dal momento, e passeggiate senza meta, toglietevi le scarpe, sedetevi ad ascoltare il silenzio e a scrutare l'orizzonte.





Artist's Palette
Più di cinque milioni di anni fa in seguito a ripetute eruzioni vulcaniche l'intera zona è stata ricoperta da ceneri e minerali che si sono depositati a formare delle piccole montagne. Questi minerali erano chimicamente alterati dal calore e dall'acqua e da altri elementi. Alcuni minerali colorati sono l'ematite rossa e il clorito verde che danno origine ad una vera e propria tavolozza di colori creata dall'artista Natura. Le nuvole che di giorno passano e le rare (ma io sono stata fortunata e le ho trovate) precipitazioni cambiano le intensità dei colori, rendendo ogni momento diverso.
Artist's Drive è una strada panoramica lunga circa una quindicina di chilometri. Prendetevi un po' di tempo per fare una passeggiata tra le rocce colorate.





Se programmate il viaggio nei mesi estivi, vi consiglio di portare molta acqua: la prima volta che ci sono stata molti anni fa ad agosto le temperature erano alte e avevamo in auto una scorta abbondante di liquidi. L'acqua serve anche d'inverno, ma ovviamente in quantità minori. Attenzione perché i punti ristoro sono pochi, quindi meglio avere del cibo in auto per qualsiasi evenienza.
Scarpe sportive, meglio se da trekking, cappello per le giornate di sole e giacca impermeabile per quelle di pioggia, perché sì, può capitare...

Dove dormire
Ve lo consiglio o non ve lo consiglio?  Sì dai: Panamint Spring Resort.
Eh eh, era l'unico posto disponibile per il pernottamento all'interno della Death Valley, e secondo me poteva benissimo essere il set di un film dell'orrore. Ma se ci dovete passare una notte va benissimo. Un po' spartano, con dei buchi qua e là in stanza, ma con tutto il necessario. Per cena il ristorante del motel serve degli ottimi hamburger e apple pie.
Purtroppo il paesaggio era tutto avvolto nella nebbia, anche la mattina;  non ho foto, ma si dice che da lì si ammiri un panorama mozzafiato... ci credo sulla parola!
Il check-in si fa al piccolo market poco distante, dove si possono comprare anche generi di prima necessità.






  

 Ciaoooo










UN WINE TOUR IN VALPOLICELLA CON PAGUS

by 10:00 AM



Non ero mai stata in Valpolicella.
Mi vergogno un po' a dirlo, in fondo si trova ad una quarantina di chilometri da Padova tra il lago di Garda e Verona, ma per la nota legge del "tanto è vicino e prima o poi ci andrò", non ci ero mai andata.
Come vi ho già raccontato in altri articoli, sto cercando di recuperare e di conoscere più a fondo i luoghi che geograficamente mi sono vicini e che meritano di essere visitati.
Così da brava Veneta, amante del buon vino, ho dedicato una giornata alla scoperta di quest'area e dei prodotti che ha da offrire.
Mi ha accompagnata Pagus Wine Tour, un'agenzia che offre tour enogastronomici di gruppo e privati, in Valpolicella e nel territorio intorno alla città di Verona.
La zona è molto famosa per la coltivazione di vigneti per la produzione di vini quali l'Amarone DOC, o il Valpolicella e il Ripasso.
Il tour è esperienziale, guidato da persone competenti che introducono l'ospite in un mondo fatto di storia, tradizioni e gusto, e che soprattutto amano con passione il proprio lavoro.
Nel tour a me presentato abbiamo toccato tre tappe:

San Giorgio della Valpolicella e la sua Pieve
Da novembre del 2015 questo paesino è entrato a far parte dei borghi più belli d'Italia. Si trova immerso tra ulivi e vigneti e una sensazione di pace magnifica, sopra un monte che domina dall'alto la Pianura Padana, Verona e il Lago di Garda.
Le case sembrano la continuazione della roccia sulla quale sono costruite; pensate che  in passato, è stata una fortezza naturale raggiungibile solo attraverso un sentiero lungo e irto. Il nome del paese deriva dall'antica pieve in stile romanico sita nel centro della cittadina, che risale al 712 d.c. Al suo interno sono conservati affreschi che risalgono al dodicesimo e tredicesimo secolo.



Il negozio di Corrado Benedetti
Non è un semplice negozio, è un'esperienza vera e propria. Da tre generazioni vengono prodotti salumi e affinati e stagionati formaggi, mantenendo le tecniche di lavorazione tradizionali. Un tuffo nei sapori quello che ho fato attraverso una degustazione che ha deliziato il mio palato. Quello che i miei occhi hanno visto ha fatto poi conoscenza con il gusto: salumi, formaggi, mostarde, marmellate e l'Amarone a sigillare l'esplosione di sapori.
Ovviamente ho portato a casa un gustoso souvenir...




Corte Borghetti
A Corte Borghetti, Barbara mi ha portato a spasso tra i vigneti della sua Azienda Agricola, raccontando i segreti (non tutti eh) e i processi per ottenere uno dei vini più amati, l'Amarone con il suo sapore inconfondibile. Un lavoro che dura dodici mesi, non solo nel periodo della vendemmia come molti credono. Una magia quella del grappolo d'uva che si trasforma in un nettare divino grazie soprattutto alla passione per la terra e per l'uva.
Ho fatto una degustazione riscaldata dal calore di un caminetto e dalla luce traballante delle candele accese.L'intimità e l'accoglienza sono state superlative mentre bevevo il loro Valpolicella Classico DOC, il Valpolicella Superiore DOC, il Valpolicella superiore ripasso DOC e l'Amarone della Valpolicella DOCG; il tutto mangiando prodotti tipici della zona quali formaggi, salumi, marmellate e dolci. Devo dire la verità, è stata un'esperienza speciale, di quelle che ti restano dentro, con l'ebbrezza che solo il vino sa dare insieme ai racconti di una terra che ora non mi resta che continuare a scoprire. 




Perché quando un luogo ti dispiace lasciarlo, vuol dire che ha colpito nel segno e non resta altro che programmare un ritorno per scoprirlo ancora profondamente, perché sai già che nasconde dei tesori unici.



Esperienza in collaborazione con Pagus Wine Tour.

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MONTAGNANA, COSA VEDERE IN UN GIORNO

by 7:33 PM




Questo è un post dedicato ad una della meraviglie dietro casa.
Uno di quei luoghi dove passare una giornata, di quelle lente, per assaporare nuovi gusti e per stupirsi ancora una volta delle bellezze che abbiamo a portata di mano.


Montagnana si trova ad una cinquantina di chilometri da Padova, oltre i Colli Euganei, a sud in un tratto di pianura con una vista che spazia sul paesaggio circostante, facile meta,  per una gita fuori porta.
Il suo nome deriva da motta, cioè piccola collina e aeniana, che, in epoca imperiale, era una stazione postale lungo la strada romana.

C'è da dire che appena la si scorge, non si può che rimanere estasiati dalla sua magnificenza: la sua eleganza medioevale invita a visitarla in ogni suo angolo e non solo a conoscerne gli edifici ma anche a gustarne le prelibatezze che ha da offrire.
Per chi abita a Padova o nelle città limitrofe, una giornata è il tempo ideale da dedicarci, per chi viene da un po' più lontano consiglio di fermarsi per un fine settimana e di scoprire altri borghi nelle vicinanze e nei vicini Colli Euganei.

Cosa vedere, fare e mangiare a Montagnana?
Ecco le cinque cose che non dovete perdere!
  


Le mura

La cinta muraria di Montagnana è splendidamente conservata e catapulta il visitatore in quel medioevo fatto di cavalieri, battaglie e città da difendere. La loro circonferenza misura circa due chilometri e sono costituite da merli, torri, cammini di ronda e alloggiamenti per militi. A renderla così fortificata erano stati i Carraresi, Signori di Padova, che intorno la metà del trecento hanno voluto potenziare le difese contro i loro rivali di Verona, gli Scaligeri, così costruirono la nuova cinta con la trachite dei Colli Euganei. L'interno delle torri era utilizzato come magazzini e alloggi per i soldati.
Come in ogni città fortificata, o quasi, era stato scavato un grande fossato nel quale si immettevano le acque di un canale, ora prosciugato.
Le Mura di Montagnana hanno due accessi: uno a est in direzione di Padova e uno a ovest verso Verona.







Castello di San Zeno e Mastio di Ezzelino

Il Castello di San Zeno venne fatto costruire da Ezzelino III Da Romano e prende il nome dalla vicina omonima chiesa. Il castello si trova in una delle porte di accesso alla città: fino al milleottocento era circondato da un fossato, arma in più di difesa dalle battaglie e invasioni. In un secondo tempo, quando il dominio del territorio passò a Venezia, non ci fu più bisogno di difese e il castello venne adibito a magazzino per i raccolti, per poi diventare alloggio militare fino alla prima guerra mondiale.
Oggi il Castello ospita il Museo civico e la biblioteca. 
Si può salire sulla torre, il Mastio Ezzelino, e arrivare a quaranta metri di altezza per ammirare Montagnana dall'alto a trecentosessanta gradi. Da lassù la vista non è male, ve lo assicuro! 






Duomo di Santa Maria Assunta

La chiesa in stile tardogotico era stata commissionata dal vescovo di Padova e per volere degli abitanti della città. Da non perdere al suo interno la Trasfigurazione del Veronese e due affreschi attribuiti al Giorgione.

Mangiare prosciutto 

Da "brava" padovana per me Montagnana è sempre stata sinonimo di prosciutto crudo. Infatti segnatevelo bene bene è una cosa da provare assolutamente. Il prosciutto di Montagnana a marchio D.O.P è a dir poco irresistibile: dolce e saporito... e poi si scioglie in bocca! Vi ho fatto venire un po' di voglia? 
Se volete vedere e capire come questa bontà (assieme ad altre specialità venete) viene creata e lavorata, potete andare a far visita al salumificio Brianza, dove agli amanti degli insaccati sembrerà di stare in paradiso. Oltre a guardare, si può assaggiare!



Perdersi tra le vie 

Come in ogni città, trovo che passeggiare senza una meta, sia il modo giusto per scoprire angoli nascosti, botteghe artigianali, caffè dove fermarsi per una breve sosta. Montagnana non è molto grande, quindi anche per i più pigri sarà piacevole camminare in mezzo alla storia che ancora si riesce a percepire.



Informazioni utili

-Per qualsiasi richiesta e informazione sulla città di Montagnana consultate il sito visitmontagnana.it

-Ogni anno a maggio si tiene la Festa del Prosciutto... io direi che non potete perdervela!

 possibile visitare la città con una guida che vi spiega molto bene la storia di Montagnana e i suoi segreti, per esperienza affidatevi a Mirabilia.

-Dove mangiare tipico? Io ho provato Dulcis la bottega del gelato, che non fa solo gelati ma è un bistrot con piatti locali. Io ovviamente ho mangiato prosciutto di Montagnana, formaggi tipici e una buona birra Estense. Si trova in Piazza Vittorio Emanuele II e si può pranzare in esterno con una bellissima vista sul Duomo.



Articolo scritto in collaborazione con VIsit Montagnana.






IO E LA FOTOGRAFIA

by 3:33 PM


  


Fermare il tempo in uno scatto.
Wow, sembra quasi un super potere.

Eppure noi che scattiamo, che portiamo il peso della macchina al collo, che se cadiamo salviamo prima lei del nostro corpo, un po' ce l'abbiamo quel potere.
Impressioniamo.
Prima c'erano i pittori, che en plein air dipingevano quello che si loro presentava davanti, poi arrivò Nadar e la fotografia, questa sconosciuta che ha cambiato il modo di vedere il mondo.

Io l'ho conosciuta da bambina, la fotografia.
In casa mia giravano un paio di analogiche, una che scattava solo in bianco e nero e l'altra a colori, una 35 mm.
Erano di mio padre.
Non era un fotografo, semplicemente amava fotografare per ricordare, per fare l'album delle vacanze al mare, perché gli piaceva poi sfogliarlo.

Ora quelle due macchine fotografiche sono in casa mia, assieme al ricordo che ho di mio padre, indelebile nel tempo.

Me le lasciava usare, per saziare la mia curiosità di bambina, e per stimolare la mia creatività che non ha mai smesso di crescere, senza che sapessi nulla di impostazioni o tempi. Guardavo dentro quel quadratino e vedevo il mondo rimpicciolirsi improvvisamente e poi click scattavo, con l'orizzonte storto perché non riuscivo a tenerlo diritto.

A dieci anni di fotografia non ne capivo nulla, a venti uguale, a trenta insomma, e a quaranta guardo gli scatti e i progressi e a volte vorrei gettare tutto nel cestino, perché essere critici con se stessi è la migliore formula per migliorarsi sempre e continuamente.
Ma il fascino di quella scatola quadrata mi ha accompagnato negli ultimi 30 anni sotto varie forme e consapevolezze, portandomi alla quasi conclusione che, in fondo, la fotografia è una cosa di cui non posso fare a meno.

Ho iniziato in analogica, con una Nikon, con il suo obiettivo di default e tutte le impostazioni da studiare per imparare ad avere un'immagine decente: non sovraesposta, non sottoesposta. Cosa che al tempo succedeva spesso e volentieri, perché non esisteva un display per vedere se avevi fatto una scatto decente, no, dovevi avere un minimo di conoscenza di iso, lunghezza focale e tempo di scatto.
Dopo aver sviluppato l'ennesimo rullino da 36 scoprivo se e quante immagini erano più o meno come me le aspettavo, tutto il resto finiva nel cestino dell'immondizia, e riprovavo.
I miei studi sono stati artistici e la fotografia mi ha seguito anche alle superiori dove ho imparato molto e ho sperimentato sempre e ancora confrontandomi con chi aveva la mia stessa passione, pensando spesso e volentieri che ero un'incapace, che i miei soggetti erano scialbi, che forse potevo chiedere a me stessa qualcosa di più. 
Ho scattato, sviluppato in camera oscura, post prodotto, non nel modo in cui pensate voi, ma a mano, con pennelli e colori, perché è così che si aggiustava qualche difetto...ora tra la foto scattata e quella finale ci passa un'oceano di mezzo.
Non avevo soldi da spendere in libri, internet non esisteva, quindi andavo a prendermi qualche libro in biblioteca, qualcuno valido, qualcun altro datato, ma poco importava, le regole erano sempre le stesse, bastava metterle in atto e sperimentare, essere creativi, immaginarsi la foto prima di scattarla, il che non è sempre facile.



Poi il mondo ha cominciato a cambiare ancora ed eccole lì le digitali fare capolino dietro l'angolo. Non le volevo nemmeno vedere, troppo bacchettona e tradizionalista, per me le foto erano con il rullino e basta. Le ho provate quelle piccole scatolette che stavano in una mano e che bastava respirare per far diventare una foto mossa...la morte della fotografia. Non ho mai ceduto e sono andata avanti per la mia strada, spendendo sempre più soldi per dei rullini che cominciavano a scarseggiare e il cui sviluppo iniziava a diventare molto caro.

Finché un giorno sono passata al lato oscuro.
Una scelta difficile, sofferta, quasi un tradimento. E ho comprato una digitale, la mia prima Nikon digitale. 
Tutto era uguale, tranne l'avere un display e il non dover aspettare una settimana per vedere il risultato.
Tutto era immediato, ma sì scatta, tanto se non è bella la cancelli.
E così mi ritrovavo con una quantità assurda di file da scaricare, guardare, editare, cestinare.
Vi dico la verità, mi ci è voluto un po' per abituarmi, per quanto, da un certo punto di vista le cose fossero diventate più' facili.

Ho ricominciato a studiare più seriamente, a frequentare corsi e gruppi di fotografia, ad uscire più spesso per fare prove, a confrontarmi con altre persone con la mia stessa passione. Poi ho comprato un cavalletto, e ho voluto provare l'ebbrezza delle foto in notturna e in movimento... ma diciamo che ci sto ancora lavorando.



Poi, come chi vuole cambiare l'auto perché la propria non lo soddisfa più e rende poco in certe situazioni, io ho voluto cambiare la reflex qualche anno fa, ed ho fatto un investimento che mi ha reso felice (il mio collo e le mie spalle un po' meno). La mia Nikon 750 rimane una delle cose che amo di più al mondo, ne sono gelosa, anche se capita che la lasci chiusa nella sua custodia per qualche tempo, quando la voglia di fotografare svanisce per un po'.
Capita, non mi vergogno a pensare che fotografare per forza non è mai una cosa buona. E piuttosto di vedere immagini che non mi danno nessuna emozione, non fotografo, punto.

Fotografo per lavoro? sì, e mi piace, anche se i soggetti a volte sono degli elettrodomestici o altri oggetti senza un'anima.
Per il resto amo, come sapete, fotografare in viaggio quando tutto acquista un senso, tutto parla e diventa una storia da raccontare.
Ed il peso di tutta l'attrezzatura passa in secondo piano.

Faccio pochissima post produzione, raddrizzo l'orizzonte, che per un mio difetto ottico vedo dritto ma non è, sistemo qualche imperfezione, ma poca cosa: per me la foto deve essere uguale a come il mio occhio l'ha vista prima di scattare. I magheggi con photoshop non mi sono mai piaciuti, cambiano tutto quello che lo scatto ha emozionato. 
Utilizzo Lightroom e catalogo tutte le foto per anno, mese, giorno e luogo. 
Tutte le foto fanno parte della mia vita, e non voglio rischiare di perderle, quindi faccio regolarmente anche un back-up che non si sa mai.

Conosco le basi, tutto il resto è istinto e fantasia. A volte viene fuori un'accozzaglia, altre qualcosa di più carino: eh eh senso critico sempre al primo posto.
Scatto solo ed esclusivamente in manuale, a scattare in automatico ci si perde tutto il divertimento.
A chi mi chiede consigli dico sempre che la fotografia è soggettiva, una volta imparate le regole, un po' bisogna dimenticarsele e trovare il proprio stile. 
Poi costanza e passione fanno il resto.
Ma io non sono una fotografa professionista, per fortuna posso fotografare per passione!

Cosa penso delle foto con il telefonino? Per quanto un telefono possa fare belle foto, no, non la posso definire fotografia. Sono scatti, momenti, veloci da fare e da condividere.

La fotografia, per me, è un altra cosa.
Per me, ma anche per qualcun altro.

Non serve una bella reflex costosa per scattare foto, non è la macchina a fare il fotografo. Questo mi hanno insegnato e in questo continuo a credere.
Basta non perdere di vista il lato artistico e la creatività.









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