STATUA DELLA LIBERTÀ, STORIA E CURIOSITÀ

by 9:28 AM




Qual è la prima cosa che viene in mente quando pensate a New York?
La mia è la Statua della Libertà.

Sarò scontata, o poco imprevedibile, ma per me è sempre stata un simbolo solenne. Uno dei monumenti più importanti che esistano al mondo, non tanto per la sua imponenza, ma per quello che sta a significare: libertà.
Si trova al centro della baia di Manhattan su Liberty Island. Il nome originale della statua sarebbe La Libertà che illumina il mondo, e in effetti il suo scopo era di illuminare ed accogliere gli immigrati che con le navi raggiungevano il porto di New York.
Penso sempre all'emozione che provavano quegli occhi sul ponte della nave, quando intravvedevano le prime luci e passavano di fianco a lei, al simbolo della loro libertà in un nuovo paese, nella loro nuova vita, volti pieni di paura e speranza. 
A me vengono i brividi, mi commuovo di fronte a questo pezzo di storia.
È una delle cose da non perdere a New York e anche il portale magazine di Expedia Explore la inserisce tra le 20 cose che vale assolutamente la pena di visitare durante un viaggio nella Grande Mela.






La sua storia è affascinante, mi ha sempre incuriosito, e quando finalmente qualche anno fa ho avuto il piacere di poterla visitare, ho esaudito un desiderio che avevo custodito nel mio cassetto.

La storia

Tutto è cominciato nella seconda metà del 1800 quando un certo Sig. Laboulaye, un professore di diritto che in Francia si batteva per l'accesso allo studio e sosteneva con passione le ragioni dell'unione nella Guerra di Secessione Americana. Ha pensato quindi che fosse necessario fare un regalo, un monumento che rendesse concreta l'idea di fratellanza tra la Francia e l'America, un monumento che fosse paladino della giustizia e della libertà. Ad ascoltare quelle parole tra la folla durante il discorso c'era uno scultore di nome Berthald che in pochi istanti immaginò nella sua mente quella che sarebbe diventata la Statua della Libertà, posizionata all'imboccatura del porto di New York, con lo sguardo rivolto al mare, come l'antico colosso di Rodi. Non fu da solo, perché nella costruzione della statua fu coinvolto anche l'ingegnere Eiffel, esattamente quello della famose torre a Parigi che ideò la struttura portante, cioè lo scheletro della grande scultura.

Arte e tecnologia dovevano convivere assieme: la statua doveva essere vuota all'interno, con un'unica anima di reticolati in acciaio, mentre l'esterno doveva essere fatto con tanti fogli di rame sbalzati e uniti da dei rivetti. La base sulla quale doveva essere appoggiata era in granito rosa proveniente dal Connecticut.

Ovviamente costruire una statua di tali dimensioni aveva un costo non indifferente, quindi si studiarono delle strategie per poter avere dei finanziamenti di avanzamento lavori, come per esempio quella di esporre la testa della statua nella sua totale maestosità ai giardini del Palais du Trocadero dove i visitatori entusiasti cominciarono a dare dei soldi per diventare parte del progetto.
Lo stesso vale per il basamento, mancavano i fondi per terminarlo, così il New York Times lanciò una sottoscrizione pubblica alla quale risposero prontamente in molti. Furono i Newyorkesi con il loro denaro a rendere possibile la costruzione del piedistallo che l'avrebbe sorretta. 

Fu regalata dai Francesi agli Stati uniti nel 1883 in casse trasportate a New York a bordo di una piccola nave, furono quindi necessari più viaggi.
Infine furono assemblatati i 300 pezzi che la compongono come un puzzle ad incastro, un pezzo alla volta.
Nel 1886 viene inaugurata nella sua splendida bellezza in 93 m di altezza per 156 tonnellate.




Qualche dettaglio e curiosità

La Statua è una figura femminile avvolta da una lunga toga. 
Ai suoi piedi, che sbucano appena fuori dalla veste ci sono delle catene spezzate in segno di libertà.
La corona che tiene in testa ha sette punte come i sette mari e i sette continenti.
Il braccio destro è spoglio dalla veste e tiene una fiaccola accesa che testimonia la libertà e la giustizia (e che fungeva da faro), quello sinistro invece è piegato verso il corpo e sostiene una tavola sulla quale si legge 4 luglio 1776, la data della dichiarazione di indipendenza.
In origine era color rame che nel giro di vent'anni si è ossidato diventando l'attuale verde.

Gli studi ingegneristici di Eiffel furono fondamentali, infatti la statua deve avere la possibilità di compiere delle oscillazioni per resistere al vento e non spezzarsi anche in caso di dilatazione del metallo durante i cambiamenti di temperatura.

Una scala principale sale dal basamento alla corona e una molto più piccola consente la salita fino alla fiaccola.

Sul piedistallo è incisa una citazione intitolata The New Colossus composta dalla poetessa statunitense Emma Lazarus, che è un inno alla libertà, scritto dopo che lei stessa fece visita ai quartieri di quarantena degli immigrati nel porto:

"Tenetevi o antiche terre, la vostra vana pompa- grida essa con le silenti labbra- Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi, i rifiuti miserabili delle vostre coste affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dlle tempeste e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata."



Visibile da una distanza di 40 km rappresenta ancora oggi un simbolo di speranza.
È visitabile giornalmente, malgrado ci siano stati in passato chiusure per motivi di sicurezza, non solo per allarmi terroristici, ma anche per situazioni atmosferiche, tipo uragani.

Ogni anno viene visitata da circa 4 milioni di persone.


Articolo in collaborazione con Expedia 


FAVIGNANA IN BICICLETTA, COSA NON PERDERE

by 2:56 PM



Amo le isole
le amo perché tutto intorno scorre il mare, che protegge e rigenera.
Mare che è lavoro e solitudine, 
vita e salsedine.

Quattro giorni a Favignana, l'isola a forma di farfalla, sono il tempo minimo necessario per avere un assaggio di quello che ha da offrire.
Ci sono stata in aprile, un periodo tranquillo, senza caos e spiagge piene, con un sole tiepido e la voglia di scoprire.
Venivo da Trapani, dove avevo da poco assistito alla processione dei misteri, una tradizione tramandata negli anni, di un fascino che solo la Sicilia può avere.

A mezz'ora di traghetto (o più', a discrezione delle onde del mare) da Trapani, si raggiunge il porto di Favignana, gremito di pescatori e gabbiani che vivono quasi in simbiosi. 
L'impatto è meraviglioso, l'odore di sale, di pesce, le parole gridate e sussurrate da quegli uomini dalla pelle arsa dal sole, le loro mani forti e grandi e le barche bianche e azzurre con il loro rollio costante, quasi cullate nel braccio del mare.

Ho girato Favignana in bicicletta, per una scelta ecologica, per quel senso di libertà di potermi fermare ad ogni piè sospinto, e poi perché fa bene, molto bene pedalare, avere il sole ed il vento in faccia, fare fatica controvento e sorridere per questo: sensazioni da non sottovalutare.

Cosa non perdere a Favignana

Cala Rossa 
Si racconta che il nome derivi da una battaglia tra Cartaginesi e Romani durante le guerre Puniche nel 241 a.C. al largo delle Egadi e che il sangue che il mare tinse di rosso sia arrivato fino alle coste di Favignana. 
Probabilmente è la baia più bella di tutta l'Isola, caratterizzata da un colore azzurro che sembra quasi finto, ma di finzione c'è gran poco e il panorama fa restare letteralmente a bocca aperta, spalancata, senza fiato. Ho reso l'idea?
Si raggiunge facilmente in bicicletta: l'ultimo pezzo è una strada bianca sterrata, e poi si prosegue a piedi. Non c'è spiaggia ma solo roccia e scogli, merita veramente!







Cala Azzurra
Altra spiaggia dall'acqua trasparente e dal colore azzurro (eh eh si chiamerà cosi per una ragione!); è formata da due piccole insenature divise tra di loro da alcuni scogli; dagli abitanti dell'isola è chiamata la "baia delle petre carute" proprio per questo motivo. Tutto intorno natura incontaminata. Non è una spiaggia attrezzata, e questo ne esalta la bellezza.

Spiaggia di Lido Burrone
Pare sia l'unica spiaggia attrezzata di tutta l'isola, ma io l'ho vista allo stato naturale, fuori stagione, e merita davvero. Resta in ogni caso una delle spiagge più belle, con acque cristalline e con un fondale che scende lentamente, quindi adatta anche ai piccoli viaggiatori. Qua e là qualche scoglio piatto per tuffi o per splendide foto al tramonto...



Il Castello di Santa Caterina
Il Castello di Santa Caterina è sorto nel luogo dove già esisteva una torre di avvistamento costruita dai Saraceni sulla cima della collina al centro dell'isola. Ora ne sono rimasti solo dei ruderi in stato di abbandono, ma si percepisce quello che era e che aveva rappresentato. Molte zone non sono più accessibili per sicurezza, rimane però un luogo mistico dal quale ammirare tramonti indelebili.
Si raggiunge a piedi con una bella passeggiata in pendenza che porta fino in sommità del monte; calcolate circa un'oretta di salita. Se siete appassionati di luoghi abbandonati, questo non lo dovete perdere! Ovviamente da lì in cima avrete una visuale sull'isola di Favignana e sulle sue due sorelle Marettimo e Levanzo.
Vi prego, non andateci con le infradito, grazie. 





Ex Stabilimento Florio delle Tonnare di Favignana
Una visita alla tonnara è un salto nel passato, di quando si faceva la mattanza del tonno e nello stabilimento avveniva la lavorazione e l'inscatolamento del pesce per la conservazione ed il commercio. Qui viene raccontata la storia della famiglia Florio e in realtà quella di tutta l'isola perché quasi tutti gli abitanti lavoravano nello stabilimento. Questo fino agli anni settanta. Poi l'azienda chiuse perché non riusciva ad essere più competitiva.
Trentaduemila metri quadri di ambienti adibiti alle varie mansioni, che oggi dopo il restauro sono completamente visitabili. Un luogo senza tempo, ricco di fascino e storia, in cui passare delle ore accompagnati dal suono del mare che si infrange su parte della struttura.
Di grande effetto le installazioni olografiche di testimonianze da parte di ex lavoratori che raccontano la loro vita passata in quel luogo... emozionante.






Girate, poi, senza meta tra vicoli e strade dell'isola. Vi ritroverete a percorrere tratti completamente lontani dal caos attorniati da paesaggi campestri, e subito dopo, all'improvviso scorgerete il mare, bellissimo mare da amare.

Dove mangiare a Favignana
Quello che... c'è c'è. Eh questo è proprio il nome del ristorante che vi consiglio, un posto in cui ritornare per provare tutto, perché quando si mangia bene si torna sempre.
Sapori della terra e del mare che seguono la stagionalità, preparati con maestria e ovviamente tradizione. Si trova in via Garibaldi vicino al porto... credo che in alta stagione necessiti di prenotazione.

Dove dormire a Favignana
Io ho soggiornato al Residence Burrone, a pochi passi dall'omonimo lido. Un'oasi di pace a circa un chilometro dal centro storico. Ne ho parlato in questo articolo Residence Burrone, un'oasi speciale a Favignana. 
Potete trovare altre info anche nel sito Favignana Lido Burrone.




CRACO, LA CITTÀ FANTASMA IN BASILICATA

by 9:49 AM




Se siete in Basilicata, per visitare Matera, o anche solo di passaggio, vorrei suggerirvi un luogo, dove il tempo si è veramente fermato, e dove potrete entrare nel passato per qualche ora.
Sto parlando di Craco, la città fantasma che di spettrale non ha proprio nulla, anzi mantiene l'alone di uno splendido paesino arroccato che spunta tra i calanchi Lucani.

Craco si trova ad un'ora di strada dal capoluogo, immersa in paesaggi che mi hanno incantata. Quando l'ho visitata, era la mia prima volta in Basilicata, ed ignoravo totalmente la bellezza dei suoi paesaggi. I colori di fine estate assumono toni bruciati che contrastano con il cielo blu e lasciano chiunque a bocca aperta.



Era un borgo a tutti gli effetti, con case, una pasticceria, il forno, il maniscalco e tutte quelle attività che rendono accogliente un luogo. La vita scorreva per gli abitanti con l'alternarsi delle stagioni, tra il lavoro e le meritate pause. Fino a che nel 1963 una frana di grande entità fece evacuare gran parte dei duemila abitanti che risiedevano lì.
La frana era stata causata da problemi strutturali dell'abitato, e circa dieci anni dopo un'alluvione impedì alla città di essere nuovamente ripopolata; infine il terremoto del 1980 causò l'abbandono totale. 
Ora, dopo quarant'anni i rilevamenti geotecnici hanno decretato che il terreno è stabile, e quindi al sicuro da nuove ed eventuali frane di assestamento.



Craco è rimasta intatta, o quasi, e la sensazione che suscita appena si varca la soglia di quel cancello è quella di nostalgia per un luogo che non sarà più vivo come era un tempo, nonostante la sua bellezza possa essere ancora assaporata.
Grazie ad un piano di recupero il borgo è visitabile dal 2011 attraverso una visita guidata, lungo un itinerario in totale sicurezza, con l'uso di caschetti  in testa.
Negli anni, dopo un accurato restauro, sono stati aperti nuovi spazi da vedere, per avvicinare sempre di più il visitatore a quella che era la città nella suo completo splendore.
Le contrade che facevano parte del borgo erano tre: Canzoniere, dal nome di una taverna; San Lorenzo e Sant' Eligio protettore dei maniscalchi. 
Si cammina tra vicoli in salita, tra la vegetazione che non se ne è mai andata, ma che sembra voler proteggere quello che è rimasto, per viverci ancora una vita assieme.







Un luogo surreale da visitare almeno una volta nella vita, per la sua bellezza, per la sua storia, per quello che c'era e che ora è stato accompagnato fuori dalla realtà; per chi vuole farlo conoscere, e lavora sodo per far sì che sia accessibile, perché merita, veramente, e io, lo sapete, vi consiglio luoghi che lasciano il segno...

Informazioni utili

I biglietti per visitare la città si trovano alla Mediateca di Craco. Il costo della Craco Card è di 10 euro a persona, fino ai quattordici anni è gratis. Per gli orari chiedete direttamente ai responsabili, per esempio per la mia visita ho dovuto aspettare circa un'oretta a differenza dell'orario indicato, e i motivi ancora oggi mi sono ignoti. Ma non disperate, c'è un furgoncino che vende birre e panini, oppure, se il sole non picchia troppo, si possono fare quattro passi nella natura.

La visita dura circa un'ora, durante la quale una guida spiega aneddoti e la storia della nascit della città fantasma. 

A Craco sono stati girati parecchi film, i più famosi sono "Cristo si è fermato a Eboli" di Rosi, "Basilicata coast to coast" (e chi se lo dimentica) di Papaleo e "La passione di Cristo" di Gibson. 

Dalle meraviglie italiane è tutto!






LA SALITA A STROMBOLI

by 4:27 PM




La salita a Stromboli è stata una delle esperienze più belle della mia vita.
Una di quelle cose che non credi possa succedere fino a che con i tuoi piedi non imbocchi, carica di adrenalina, il sentiero che lentamente ti porterà fino in cima. 
E quando dico cima, mi riferisco ai 924 m che la separano dal mare.

La prima parte di questo post è romanticamente emozionale, per le informazioni pratiche e forse più utili dovrete leggere tutto fino alla fine.
Del resto, quando un'esperienza ti tocca profondamente, puoi scriverne e condividerne le emozioni, per renderla ancora e sempre viva. Per quanto in parte io possa essere gelosa di questa esperienza, non posso non raccontarvela.

Mentirei dicendo che ero tranquilla, quei novecento m di dislivello mi tintinnavano in testa da giorni, insieme al pensiero che forse non ero preparata a sufficienza per affrontarli. Paturnie mentali che sono solite impossessarsi di me e della mia autostima. 
Forse avevo solo paura, a volte fatico a vivere il momento perché sono proiettata verso ciò che viene dopo, e non sapere cosa mi aspetta mi destabilizza un poco: può essere mania di controllo sulle cose o qualcosa di simile a quello che provano i bambini quando chiedono ogni dieci minuti quanto manca per arrivare alla fine del viaggio.

Eppure, non si è trattato di nulla di inaffrontabile, è bastato procedere un passo dopo l'altro, lento o veloce che fosse; contava solo la strada, il sentiero, un qualcosa di nuovo da percorrere, solo questo mi eccitava profondamente, poi tutto il resto è venuto in scia, emozione compresa.

Certe cose si faticano a descrivere.


La salita allo Stromboli è stato un centrifugato di sensazioni, di pensieri, di bellezza con la quale riempirsi gli occhi, di profumi di cui era intrisa l'aria, di rumori ovattati dal silenzio, di respiri affannati come quando si fa l'amore, respiri che sono all'unisono con la terra viva sotto ai piedi.
La strada che all'inizio era dolce si è inasprita sempre di più man mano che salivo. Il paesaggio era spettacolare, e i racconti della guida su Iddu ascoltati in sordina erano una melodia da ripetere lungo la scalata. Un orecchio ascoltava le parole e l'altro il suono del vulcano che ci aveva accolto brontolando, quello del mare e dei passi che si facevano sempre più pesanti.
Il sentiero che abbiamo intrapreso è il Labronzo, non il più facile, ma il più bello, scenografico. Passa per la Sciara del Fuoco e già ad un’altitudine modesta si possono vedere le eruzioni di crateri. L'effetto wow è assicurato, ed il mio cuore è impazzito in un misto di affaticamento e meraviglia, tanto da non riuscire a distinguere le due cose.
E poi eccolo il tramonto ad incendiare tutto, quasi a volersi unire al fuoco che arde al centro della montagna. 
Sono i momenti come questi a dirmi ancora una volta che di meraviglia ci si può ubriacare.
Si vorrebbe che questi attimi fossero eterni, ma il sole, si sa, ha sempre fretta quando si tratta di andare a dormire, e il buio ha preso il sopravvento.
La strada, però, non era ancora finita, anzi, al buio e con una torcia sulla testa il percorso si è fatto ancora più duro e impervio. 
Ero stanca, ma la guida mi è stata molto di supporto, in fondo non lo sapevo ma lassù avrei visto tutto con occhi diversi.
Gli ultimi duecento metri... (cosa sono duecento metri?) non finivano più, il terreno sprofondava sotto ai piedi sotto forma di sabbia, il vento mandava raffiche improvvise sollevandola e riversandola negli occhi e nella mia reflex, quindi dovevo fermarmi e ripararmi di spalle, allungando ancora di qualche minuto il momento del mio arrivo.
Poi la fine, nessun'altra salita, solo me stessa, solo il respiro intervallato da qualche parola biascicata velocemente.
Silenzio.
E quando mancano le parole, la cosa migliore è non cercarle.

Ed allora è cominciato lo spettacolo, ed io ero in prima fila.
Uno spettacolo pirotecnico con bombe e lapilli.
Un lampo di fuoco che squarciava le tenebre, un boato, un brivido.
La terra era viva e io respiravo sopra di essa.

Un bicchiere di Malvasia sotto un tetto di stelle è stata magia: il vento faceva tremare me, e forse non era il freddo, ma la stupida adrenalina che ci portiamo in corpo.
E le stelle, le stelle non hanno uguali.
Potevo allungare una mano e quasi toccarle, mi sono seduta a godermi il momento.


E sono estremamente felice di aver condiviso con le mie amiche questi attimi...




Io, Milena e Monica, siamo partite da Vulcano per Stromboli, senza sapere se in realtà saremmo riuscite a salirci sopra, una delle tante incognite che ci hanno accompagnato nel nostro viaggio alle Eolie.
Avevamo una guida, che abbiamo incontrato in aliscafo, ma non avevamo il permesso di scalare il vulcano perché l'accesso non era ancora stato autorizzato dopo l'inusuale l'attività invernale; il programma quindi era di arrivare fino ai 400 m di altezza, oltre non era permesso.
Ma le storie a lieto fine a volte succedono e grazie a Sarah Tomasello di Aeolian Charme e al sindaco di Lipari Marco Giorgianni, abbiamo ricevuto un permesso anticipato per salire fino ai crateri sommitali per ammirare e raccontare come blogger di viaggio uno degli spettacoli più belli al mondo.




Non è per tutti, ci tengo a specificarlo, perché è facile dire "Ma sì, cosa sarà una scarpinata fino in cima?" e invece arrivare in cima è faticoso, molto faticoso.
Vero è che la bellezza di quello che ho visto ha ripagato tutto il fiatone e le gambe che si rifiutavano a collaborare, ma credetemi che qualche parolaccia lungo il tragitto l'ho detta.
Bisogna essere allenati, almeno un po', perché sette ore e più di camminata non sono i quattro giri a piedi del parco sotto casa. Le guide forniscono caschetto, obbligatorio, e le bacchette, che consiglio per supporto morale e fisico. 
Ovviamente ai piedi ci vogliono scarpe da trekking possibilmente alte, un cambio perchè si arriva sudati,  abbigliamento tecnico a strati, perché in cima, a marzo, la sera, le temperature scendono bruscamente dopo il tramonto, e una torcia frontale.
Acqua, carboidrati (sotto forma di panini) e zuccheri per la salita e per le pause. 
Se come me amate la fotografia portatevi oltre alla reflex anche il cavalletto. Non ce l'avevo perché non ci stava nel bagaglio, e quella sera il vento era talmente forte che in ogni caso non avrei fatto granché, mi tocca ritornarci... eh eh.
Ci sono tre sentieri che portano in cima: il classico San Vincenzo, di difficoltà media, il sentiero di Labronzo, che abbiamo fatto noi, di difficoltà alta e il sentiero che parte da Ginostra che è nella mia wish list.
La discesa è uguale per tutti, più che camminare si scivola sul terreno sabbioso, al buio. Si arriva stanchi, lessi, ma una birra può risollevare tutto in un attimo!
Le escursioni si possono fare in gruppo e singolarmente. Non ho provato quella di gruppo, ma posso dire che quella individuale ha un valore aggiunto inestimabile: il costo ovviamente cambia, ma ne vale assolutamente la pena.


Appena scesa mi sono chiesta: "Lo rifaresti?"
Secondo voi quale è stata la mia risposta?











DEATH VALLEY, I LUOGHI DA NON PERDERE

by 9:16 AM



La Death Valley è il parco nazionale più grande degli Stati Uniti e deve il suo nome al fatto che non può esserci vita in quanto si tratta di una zona desertica in cui durante i periodi più caldi la temperatura può raggiungere i cinquanta gradi centigradi.

Le precipitazioni raggiungono i 5 cm l'anno e li ho presi tutti io nei due giorni in cui ci sono stata.
Era inverno, 
era fresco, e i colori erano degni di un quadro impressionista.
Luogo perfetto per chi ama la fotografia.

Ci ho dedicato un paio di giorni scarsi tra acquazzoni e squarci di sole, che hanno reso i paesaggi ancora più colorati. 

Segnatevi questi quattro posti, per il prossimo viaggio!

Zabriskie Point
Sicuramente è il punto panoramico più famoso della Death Valley, ma merita assolutamente di essere visto. Una una terra arida e cattiva dove non può crescere nessuna forma di vita. Zabriskie point è nato dai sedimenti del lago Furnace Creek che si è prosciugato "appena" cinque milioni di anni fa...
Troverete un po' di gente in confronto al resto del parco, ma questo è il prezzo da pagare per visitare luoghi splendidi. C'è la possibilità di fare una breve escursione di circa tre km per vedere da vicino le rocce e i colori che assumono nei vari momenti della giornata... o stagione.





Devil's Golf Course
Tra Furnace Creek e Badwater si trova il campo da golf del diavolo, composto da grandi formazioni di sale che si estendono a perdita d'occhio. Un paesaggio brullo e singolare che merita una breve fermata, per ammirarlo e per camminare sopra alle rocce non rocce fatte di sale. Attenti a non cadere, il terreno è instabile...ma molto affascinate.
"Solo un diavolo può giocare a golf su questa superficie".





Mesquite Flat Sand Dunes 
Sono le dune più accessibili della Death Valley e raggiungono i trenta metri di altezza. Nel vostro itinerario dovete assolutamente includerle e perderci del tempo, perché andarsene via sarà difficile. Che siate bambini o meno rotolare giù dalle dune risulterà l'attività più divertente del giorno. Ovviamente il momento migliore per visitarle è all'alba o al tramonto: d'estate per motivi di temperatura, e d'inverno per gustarsele con i migliori colori che la natura riesce a donare. Percorsi non ce ne sono, o meglio vengono cancellati dalla sabbia portata dal vento come in tutti i deserti, quindi lasciatevi ispirare dal momento, e passeggiate senza meta, toglietevi le scarpe, sedetevi ad ascoltare il silenzio e a scrutare l'orizzonte.





Artist's Palette
Più di cinque milioni di anni fa in seguito a ripetute eruzioni vulcaniche l'intera zona è stata ricoperta da ceneri e minerali che si sono depositati a formare delle piccole montagne. Questi minerali erano chimicamente alterati dal calore e dall'acqua e da altri elementi. Alcuni minerali colorati sono l'ematite rossa e il clorito verde che danno origine ad una vera e propria tavolozza di colori creata dall'artista Natura. Le nuvole che di giorno passano e le rare (ma io sono stata fortunata e le ho trovate) precipitazioni cambiano le intensità dei colori, rendendo ogni momento diverso.
Artist's Drive è una strada panoramica lunga circa una quindicina di chilometri. Prendetevi un po' di tempo per fare una passeggiata tra le rocce colorate.





Se programmate il viaggio nei mesi estivi, vi consiglio di portare molta acqua: la prima volta che ci sono stata molti anni fa ad agosto le temperature erano alte e avevamo in auto una scorta abbondante di liquidi. L'acqua serve anche d'inverno, ma ovviamente in quantità minori. Attenzione perché i punti ristoro sono pochi, quindi meglio avere del cibo in auto per qualsiasi evenienza.
Scarpe sportive, meglio se da trekking, cappello per le giornate di sole e giacca impermeabile per quelle di pioggia, perché sì, può capitare...

Dove dormire
Ve lo consiglio o non ve lo consiglio?  Sì dai: Panamint Spring Resort.
Eh eh, era l'unico posto disponibile per il pernottamento all'interno della Death Valley, e secondo me poteva benissimo essere il set di un film dell'orrore. Ma se ci dovete passare una notte va benissimo. Un po' spartano, con dei buchi qua e là in stanza, ma con tutto il necessario. Per cena il ristorante del motel serve degli ottimi hamburger e apple pie.
Purtroppo il paesaggio era tutto avvolto nella nebbia, anche la mattina;  non ho foto, ma si dice che da lì si ammiri un panorama mozzafiato... ci credo sulla parola!
Il check-in si fa al piccolo market poco distante, dove si possono comprare anche generi di prima necessità.






  

 Ciaoooo










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